Economia

Eni, colpo da 3 miliardi negli Emirati

Rilevato il 20% delle raffinerie Adnoc. Descalzi: «La nostra capacità cresce del 35%»

Eni, colpo da 3 miliardi negli Emirati

L'Eni mette a segno un nuovo colpo nell'area del Golfo Persico ed entra con 3,3 miliardi nel mercato della raffinazione degli Emirati Arabi. Dopo aver consolidato la propria presenza nell'area - dall'Oman, al Bahrein - in particolare nel business che riguarda l'esplorazione e l'estrazione di petrolio e gas naturale, ieri il gruppo guidato da Claudio Descalzi ha stretto uno storico accordo con Adnoc, la compagnia petrolifera di Abu Dhabi.

Nel dettaglio, Eni ha puntato oltre 3 miliardi (al netto del debito netto) sul 20% di Adnoc Refining, colosso della raffinazione con sbocchi commerciali significativi tra Europa, Africa e Asia. Una quota del 15% andrà invece al big petrolifero austriaco Omv, lasciando agli emiratini il 65%.

L'accordo - che è stato sottoscritto alla presenza dello sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, principe della Corona di Abu Dhabi, e del premier italiano Giuseppe Conte - si basa su due step: l'apertura del capitale di Adnoc Refining e, successivamente, la costituzione di una joint venture a tre dedicata alla commercializzazione dei prodotti petroliferi con lo stesso assetto azionario di Adnoc Refining.

Intanto l'operazione consentirà a Eni di ridurre il punto di pareggio sul margine di raffinazione del 50%, a circa 1,5 dollari al barile. A livello industriale per Eni si tratta, dunque, di accrescere e diversificare ancora una volta il business per fare fronte alla volatilità del petrolio che nell'ultimo anno è stata altissima: il Wti viaggia attualmente in area 61 dollari e il Brent a 53 dollari.

«Questi accordi consolidano la nostra forte partnership con Adnoc - sottolinea Descalzi e consentono all'Eni un incremento del 35% della propria capacità di raffinazione, in linea con la nostra strategia volta a rendere il portafoglio di gruppo maggiormente diversificato dal punto di vista geografico, più bilanciato lungo la catena del valore, più efficiente e più resiliente rispetto alla volatilità del mercato».

Ma non solo. Con questo affare l'Eni entra, di fatto, in una delle più grandi compagnie di raffinazione al mondo: grazie agli asset controllati da Adnoc Refining la capacità complessiva supera i 900mila barili al giorno. E se oggi il complesso emiratino è il quarto al mondo in termini di produzione potrebbe presto diventare il leader assoluto. Eni metterà a disposizione il suo know how e contribuirà, infatti, allo sviluppo tecnologico degli impianti. L'obiettivo è competere con la più grande raffineria al mondo, l'indiana Jamnager (1,24 milioni di barili).

Ed è proprio sulla tecnologia italiana che ieri il premier Conte ha posto l'accento sottolineando quanto le conquiste della «nostra partecipata siano strategiche per il Paese» e per il governo. E i Cinquestelle si sono poi quasi «appropriati» della valenza green dell'accordo, riconducendo alla propria linea politica il merito del percorso low carbon che sarà adottato dalla joint venture per lo sviluppo degli impianti.

Ma la presenza di Eni nell'area ha quasi un anno ormai. Ha preso le mosse nel marzo 2018 quando il gruppo di Descalzi si è aggiudicato da Adnoc il 10% delle concessioni di Umm Shaif e Nasr e il 5% di quella di Lower Zakum, seguite nel novembre dello stesso anno dall'assegnazione del 25% della concessione di Ghasha, mega progetto offshore del big emiratino.

Il 12 gennaio scorso, Eni si è poi assicurata il 70% nelle concessioni esplorative offshore denominate Blocco 1 e Blocco 2, oltre a essere presente anche in Oman, Bahrain, Libano e Iraq.

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