Economia

Il faro Bce sul mare mosso di Carige

L'azionista Malacalza ha fatto fuori due ad. Entro il 21 il cda deve rispondere a Francoforte

Il faro Bce sul mare mosso di Carige

Un amministratore delegato sfiduciato dall'azionista di controllo e un sostituto che ancora manca all'appello, un cda svuotato (nelle ultime settimane sono usciti in cinque) e un aumento di capitale che inizialmente doveva essere da 450 milioni e ora sembra essere già lievitato a 600-800. Tutto sotto la vigilanza della Bce la cui pazienza sta finendo. Ecco perchè Carige è considerata la terza «sorvegliata speciale» dopo il Monte dei Paschi e le banche venete. Con l'aggravante che i titoli dell'istituto ligure sono ancora negoziati in Borsa (nell'ultimo mese hanno lasciato sul terreno quasi il 16%), mentre quelli Mps sono sospesi e Pop Vicenza e Veneto Banca non sono quotate.

Sulla barca in mezzo alla tempesta c'è Vittorio Malcalza, di mestiere imprenditore del settore siderurgico che tre anni fa ha deciso di entrare nell'occhio del ciclone scatenato dalla gestione Berneschi. Prima ha rilevato per 66,2 milioni il 10,5% della banca dalla Fondazione Carige, poi è salito fino al 17,59% investendo complessivamente 263,5 milioni. Da vicepresidente ha mosso l'azione di responsabilità contro l'ex presidente Cesare Castelbarco Albani e l'ex ad Piero Montani. Oltre a chiedere un risarcimento danni da 1,25 miliardi contro il fondo Apollo, che ha rilevato le compagnie assicurative di Carige e che aveva già tentato di scalare l'istituto. Intanto i conti 2016 sono stati chiusi con una perdita di 313,6 milioni e 7,3 miliardi lordi di crediti deteriorati.

Sofferenze che Malacalza non intende «svendere», così come non vuol sborsare altri soldi per rettificare i crediti in aggiunta ai circa 200 milioni da mettere sul piatto per partecipare alla ricapitalizzazione. Mentre il valore della sua quota di maggioranza si è già deprezzato di quasi il 90%. Ma non vuol perdere il controllo di Carige. Ecco perché si è opposto alla conversione dei bond subordinati venduti a Generali nel 2008: la soluzione era stata suggerita dall'ad Guido Bastianini (benchè sgradita allo stesso Leone di Trieste) come cuscinetto aggiuntivo nel caso la Bce chiedesse maggiori risorse per rafforzare il capitale. Ma convertendo quel bond, la compagnia assicurativa sarebbe stata proiettata nel novero dei soci forti dell'istituto con una quota vicina al 17-18% del capitale, diluendo così la posizione di Malacalza. Bastianini, il cui piano prevedeva la cessione della seconda tranche di npl per circa 2,4 miliardi, attraverso la costituzione di una società veicolo e un aumento di capitale fino a 450 milioni, ha dovuto così fare un passo indietro ma il fabbisogno di liquidità è automaticamente aumentato. Mentre il tempo stringe: la banca deve rispondere entro il 23 giugno alla Bce che chiede di presentare un piano definitivo sull'aumento, sulla cessione dei crediti deteriorati e sulla governance. Il cda si riunirà il 21 giugno per deliberare la risposta e intanto ha anche avviato «con urgenza» la ricerca dell'ad (il nome più gettonato resta quello di Roberto Nicastro) dopo aver nominato un nuovo direttore generale, Gabriele Delmonte. Sarà comunque Malacalza a dover ricostruire il futuro di Carige rassegnandosi alla eventualità, sottolineano fonti finanziarie, che l'istituto nei primi mesi del 2018 possa essere coinvolto nel consolidamento del sistema invocato dal Francoforte. Ovvero venga fuso con un'altra banca.

Ieri nella sede di Carige a Genova si è intanto tenuto un convegno dal titolo «Gestione del cambiamento: leadership, flessibilità aziendale e gioco di squadra». Un avviso all'azionista navigante?

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