Economia

«Fca-Gm: una fusione obbligatoria»

Marchionne: «Bisogna metterli sotto pressione, è irragionevole non forzare». Esclusa ogni mossa ostile

Unire Fca con General Motors potrebbe significare 30 miliardi di dollari cash grazie ai risparmi sugli investimenti. Sergio Marchionne, alla vigilia del Salone dell'auto di Francoforte, in programma a metà mese, torna all'attacco sul tema fusione. E lo fa attraverso un'intervista ad Automotive News nella quale, nonostante la controparte continui a fare spallucce, ribadisce che l'aggregazione tra i due gruppi resta la migliore opzione. «Visti i numeri - precisa l'ad di Fca - sarebbe irragionevole non forzare e non c'è altra scelta che mettere pressione su Gm per cominciare a discutere ora. I potenziali profitti sono più grandi in misura maniera esponenziale rispetto agli attuali guadagni globali di Fca e Gm unite». Ma il nodo da sciogliere resta quello di affrontare il problema faccia a faccia.

Di fatto Gm ha sempre respinto ogni invito di Fca a sedersi al tavolo per verificare, insieme, i benefici che deriverebbero per entrambi da una fusione. I «no, thanks» finora ricevuti da Marchionne sono arrivati senza neppure che dal Renaissance center di Detroit abbiano valutato un approfondimento sul dossier. Chiaro è, comunque, che Marchionne, più che sull'ad di Gm, Mary Barra, intende aumentare la pressione sugli azionisti del colosso Usa, in particolare il fondo sanitario Veba, presente in Gm con l'8,76 per cento.

Con l'intervista al magazine americano, Marchionne lancia un messaggio molto forte, scartando però la possibilità di una scalata ostile. «È un'operazione troppo grande, da ignorare», afferma. Quindi, lancia la sfida ai concorrenti: «Ci sono vari tipi di abbracci. Posso abbracciarti carinamente, posso abbracciati forte; qualsiasi cosa comincia con un contatto fisico».

Amdt Ellimghorst, di Evercore Isi, giudica intanto verosimili i 30 miliardi cash di benefici di cui parla l'ad di Fca, «ipotizzando alcune sinergie e il picco delle condizioni del ciclo di mercato negli Usa». Ma «l'ad Barra non ascolta - insiste Marchionne -, non prendono le mie telefonate; non voglio uscire con lei, ma solo vederla: si può rifiutare un deal, ma non si possono rifiutare le discussioni. Ho studiato l'ipotesi di nozze prodotto per prodotto, impianto per impianto, area per area»; da qui le nuove forti pressioni sugli investitori. Una ragione perché la potente manager continua a negarsi, insieme alle forti perplessità espresse da chi le sta vicino, potrebbe essere ricercata in due timori: quello di fare da salvagente a Fca, nel senso di assicurare al gruppo italo-Usa (e sempre concorrente) un rafforzamento e un futuro più solido (proprio come affermato da un «delfino» di lady Barra); la semplice paura che, una volta chiusa la fusione, Marchionne prenda in mano il pallino e faccia saltare una serie di teste, sempre che questi teste non si siano già autoeliminate. L'ad di Fca, definendosi come «negoziatore duro», ha anche invitato Gm a contrapporgli, nel caso ci si sedesse al tavolo, un manager dello stesso calibro: «Mandino pure uno “squalo” a trattare». Marchionne, dunque, vuole Gm a tutti i costi, e non fa problemi a svelare che «potrei vendere o realizzare una fusione con Fca oggi stesso, i potenziali partner non mancano».

Intanto la Corte arbitrale di Londra ha sancito la fine dell'alleanza tra Suzuki e Volkswagen, con quest'ultima che cederà ai giapponesi il 19,9% in suo possesso.

La ritrovata libertà di Suzuki, molto forte sul mercato indiano, potrebbe favorire la ripresa del dialogo con Fca, grazie anche ai precedenti accordi industriali tra le due società.

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