Economia

Fca rischia la maxi-multa in Francia

Il gruppo: «Accuse infondate, stiamo collaborando». Il titolo perde meno dell'1%

Fca rischia la maxi-multa in Francia

Le Monde riporta in grande evidenza che, per il dieselgate in salsa francese, Fca rischierebbe una sanzione fino a 9,6 miliardi di euro, ben più dei concorrenti di Psa per i quali la multa si «fermerebbe» a quota 5 miliardi (nel mirino ci sono anche Renault e Volkswagen). Fca, secondo le indagini emerse lo scorso marzo, avrebbe nascosto i reali livelli di emissione di ossido d'azoto di alcuni modelli, tra cui quelli di Jeep Cherokee e Fiat 500X. Ma gli inquirenti d'Oltralpe imputano a Fca di aver anche ostacolato le indagini. La replica piccata del Lingotto: «Fca non è stata accusata di alcun reato nel caso dieselgate in Francia e, sebbene non informata dei fatti riportati dalla stampa, sta collaborando con l'autorità giudiziaria di Parigi».

Nessun cataclisma in Borsa: a Milano, ieri, il titolo del gruppo automobilistico guidato da Sergio Marchionne ha perso meno dell'1% (-0,95% a 14,60 euro). L'effetto è stato quello di virare in negativo dopo l'apertura positiva della settimana in scia alle nuove indiscrezioni sullo scorporo e la quotazione di Magneti Marelli, argomento che continua ad alimentare l'appeal speculativo sulle azioni.

Ma perché il mercato ha quasi ignorato lo «scoop» di Le Monde? Spiega un analista: «Innanzitutto l'entità della multa è esagerata. Un'Europa che non ha ancora saputo sanzionare il Gruppo Volkswagen per il dieselgate, perché dovrebbe stangare in questa maniera proprio Fca? Diverso il discorso se la notizia fosse uscita dagli Stati Uniti che, a proposito sempre di Volkswagen, hanno adottato il massimo rigore. Il mercato, dunque, ha dimostrato di prendere con cautela l'ipotesi dei 9,6 miliardi».

Le Monde tira in ballo un documento della Direzione generale per la concorrenza, i consumi e le frodi (Dgccrf) di Parigi dove si parla, appunto, di una maxi-stangata ai danni di Fca. Gli inquirenti francesi, si legge nei verbali, si sono convinti «che la società abbia messo a punto un software in grado di far funzionare gli strumenti in modo efficace, soprattutto durante i test di omologazione». Un procedimento «fraudolento», che può essere stato realizzato «solo in modo volontario» e che «fa parte della strategia d'impresa da diversi anni». «Sono accuse - ribatte il Lingotto - prive di fondamento e si deplora il fatto che informazioni relative alle indagini siano rese di dominio pubblico ancor prima che Fca abbia avuto l'opportunità di accedere ai documenti». Il gruppo, a questo punto, «si riserva tutte le azioni appropriate per proteggere i propri diritti nel caso» e ricorda di «aver già fornito dimostrazioni dettagliate alla Dgccrf e al ministero dell'Ambiente francese del fatto che i risultati di alcuni test effettuati non corrispondono a quelli di test fatti non solo da Fca, ma anche dal ministero italiano dei Trasporti». Da qui, «le più ampie riserve in relazione a test condotti su singoli veicoli e con metodologie non previste dalla normativa vigente; restiamo fiduciosi - conclude la nota - che la questione sarà chiarita a tempo debito».

Lo scontro, ora, potrebbe diventare politico.

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