Economia

La Fed non vuole più alzare i tassi

Il ritocco rinviato al 2020, tagliate le stime di crescita. Powell: «Pesano Cina e Brexit»

La Fed non vuole più alzare i tassi

Ancora più colomba. La Federal Reserve cancella dal ruolino di marcia la possibilità di alzare due volte i tassi quest'anno, come indicato lo scorso dicembre, e si prepara a lasciare invariata la politica monetaria per tutto il 2019. Fino al 2020, quando viene ipotizzato un rialzo, il costo del denaro resterà quindi inchiodato al 2,25-2,50%. È ciò che si ricava dalla riunione di ieri e in particolare dai dot plot, ovvero le indicazioni da parte dei governatori votanti sul posizionamento futuro dei tassi. In soli tre mesi, la banca centrale Usa ha così compiuto un'inversione a 180 gradi sulla spinta delle pressioni esercitate da Donald Trump, contrario alla strategia delle strette, e a causa del deterioramento del ciclo economico che ha provocato «un irrigidimento delle condizioni finanziarie», ha spiegato il presidente Jerome Powell. Una minore elasticità alla base del cambiamento nelle prospettive dei tassi.

La Fed ha infatti rivisto al ribasso le proprie stime di crescita per quest'anno (dal 2,3% stimato a dicembre al 2,1%), probabilmente anche alla luce del pessimo dato sull'occupazione di febbraio (appena 20mila nuovi posti). Nel comunicato diffuso al termine della riunione del consiglio, si legge infatti che «l'attività economica ha rallentato dal passo solido del quarto trimestre»; nonostante il mercato del lavoro «rimanga forte», salirà al 3,8% dal 3,6% precedente.

E anche su un tema altrettanto delicato come la riduzione del budget l'istituto di Washington va in direzione opposta rispetto agli intendimenti dei mesi scorsi: la normalizzazione terminerà il prossimo settembre con il bilancio ridotto dagli attuali 4mila a 3.500 miliardi di dollari. Un altro assist servito a Wall Street (invariata a un'ora dalla chiusura dopo un'intera seduta in territorio negativo).

Appare evidente come la Fed abbia nelle cosiddette variabili esogene l'alibi prêt-à-porter con cui giustificare il rallentamento del ciclo, la conseguente limatura delle previsioni di crescita e, in ultimo, la necessità di rimanere «prudente» sui tassi. Cioè ferma nella migliore delle ipotesi, considerando che i mercati scommettono sempre sulla possibilità di un taglio del costo del denaro già quest'anno, con le chance schizzate ieri dal 23 al 39%. «Non c'è bisogno di affrettare il giudizio - ha detto Powell - , forse tra qualche tempo» la Fed cambierà la politica monetaria. L'aggiustamento minimale dell'outlook serve a sostenere il ruolo di colomba con cui Eccles Building ha riscritto il copione recitato fino allo scorso dicembre, senza allarmare gli investitori. Powell non prevede «una recessione in Europa», non vede rischi finanziari che «possano provocare una crisi», ma «Brexit e negoziati commerciali creano rischi all'outlook». Non ha torto, visto che il distacco di Londra dall'Ue ha un finale ancora non scritto e in bilico tra un amletico deal o no deal, mentre la risoluzione della guerra commerciale tra Usa e Cina, al di là delle roboanti dichiarazioni circa un accordo a portata di mano, resta tremendamente complicata. Donald Trump è infatti tornato ieri a interpretare il ruolo del poliziotto cattivo: «I dazi sulle esportazioni cinesi - ha detto - potrebbero restare a lungo».

Anche se la porta del dialogo non è chiusa: «presto» i negoziatori Usa andranno in Cina, confermando indiscrezioni secondo cui la settimana prossima a Pechino riprenderanno le trattative.

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