Economia

La Fed scalda l'Europa ma Wall Street già frena

Dubbi sulle prossime strette, timori per i Brics E nel 2016 arrivano tre falchi alla banca centrale

Ad appena 24 ore dallo storico rialzo dei tassi deciso dalla Federal Reserve salutato con levar di calici, Wall Street ha già tirato il freno. L'effetto-Yellen si è fermato in Europa: Borse toniche, corroborate da acquisti che hanno fatto salire gli indici fra lo 0,7% di Londra e il +2,6% di Francoforte, con Piazza Affari su di quasi un punto e mezzo. Partita cauta, New York ha mantenuto la stessa traiettoria per l'intera seduta (-0,8% a un'ora dalla chiusura), figlia anche degli interrogativi sulle future mosse della banca centrale.La Fed ha sì garantito un approccio graduale per quanto riguarda i prossimi aumenti, però nessuno ha la certezza di quanti, e di che entità, saranno. Oltretutto, qualche analista non esclude che i rialzi possano essere molto più aggressivi di quanto atteso dai mercati. Ciò potrebbe derivare dal reshuffle che riguarderà il direttivo della banca nel 2016, con l'ingresso di tre falchi come Loretta Mester (Cleveland), James Bullard (St. Louis) ed Esther George (Kansas City). Una composizione che potrebbe implicare una politica monetaria meno dovish, anche se la Yellen potrebbe controbilanciare spinte troppo estreme. Di quanto potrebbero risalire i tassi? Gli economisti sono spaccati: c'è chi stima che il costo del denaro non raggiungerà l'1% fino al 2017, il che significa appena due aumenti addizionali da 0,25 punti nel 2016, mentre altri ipotizzano un tetto dell'1% l'anno prossimo. Tutti d'accordo, però, su un fatto: il ciclo restrittivo non riporterà i tassi al picco del 5,25% del giugno 2006, ma li stabilizzerà attorno al 3-3,5%. Troppi debiti in giro e inflazione troppo anemica.L'arbitro della politica monetaria saranno comunque le variabili, esterne e interne. Il rafforzamento del dollaro mette sotto pressione i mercati emergenti: oltre alle prevedibili fughe di capitali, c'è anche il rischio di vedere andare a gambe all'aria le imprese (tra il 60 e l'80% in Brasile, Indonesia, Turchia e Cile) che si sono indebitate in valuta americana per complessivi 2.600 miliardi. E mentre l'Argentina ha scelto una via rischiosa decidendo di svalutare il peso (-23% contro il biglietto verde ieri), incombe una svendita massiccia di T-bond da parte dei Brics. Già in ottobre, i detentori esteri hanno liquidato 55,2 miliardi di treasury. Poi, naturalmente, c'è la caduta dei prezzi del petrolio: continuerà?In casa, la lente è sul mercato delle obbligazioni ad alto rischio, i cui rendimenti sono saliti di recente al 18%, un segnale di chiaro pericolo. E poi, naturalmente, lo stato di salute dell'economia. Il mercato del lavoro, al di là della disoccupazione al 5%, presenta forti squilibri che impediscono di scaldare un po' l'inflazione. Ieri il Superindice ha battuto le attese (+0,4% in novembre), ma il Philadelphia Fed si è schiantato in dicembre a -5,9 punti. È il principale indicatore della manifattura.

E segna ancora bufera.RPar

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