Economia

Fiat, il partner cinese si nasconde

Il gruppo Gac: «Attualmente non investiamo». Torino non commenta, ma i contatti ci sono e gli analisti ci credono

Pierluigi Bonora

Torino tiene ferma la sua posizione di «non voler commentare», mentre dalla Cina, seppur dopo quasi una giornata, il costruttore di auto Gac smentisce (a metà) le indiscrezioni, rilanciate ieri dal Giornale, di avere allo studio un'offerta per Fca, con la quale coopera. Gac, infatti, punta ad ampliare il proprio business allo scopo di diventare un produttore globale. E per questo ha bisogno di entrare nel mercato americano attraverso il «ponte» Fca. «Attualmente - comunica un portavoce di Gac - non abbiamo piani per investire in Fiat Chrysler Automobiles». È comunque quell'attualmente riferito nella nota che fa pensare come la questione non sia in questo momento all'ordine del giorno, nonostante la serie di incontri incrociati con i vertici di Fca, ma potrebbe diventarlo in futuro.

Le voci a proposito di «ombre cinesi» sul Lingotto hanno fatto il giro del mondo. E il titolo Fca è stato oggetto di acquisti per buona parte della giornata, per poi cedere dopo la precisazione di Gac e risalire in terreno positivo nel finale. Dopo un massimo intraday a 6,56 euro e un rialzo oltre i 3 punti percentuali, il titolo ha perso gradualmente quota, chiudendo però in ripresa: 6,30 euro (+0,16%). L'ipotesi di una Fca «cinese» è comunque piaciuta a Mediobanca: «Gac - il commento degli analisti - potrebbe cambiare le carte in tavola in un momento in cui le trattative di M&A con società europee e americane si trova in una fase di stallo».

Secondo Roberto Russo (Assiteca Sim), «queste indiscrezioni rappresentano l'ennesima conferma di quanto, noi italiani, siamo tristemente capaci di deprezzare le nostre primarie aziende offrendole a prezzi da saldo a increduli imprenditori (spesso stranieri) che profittano del clamoroso differenziale tra prezzo reale e quotazione di Borsa». «Oggi - aggiunge Russo - Fca ha una capitalizzazione pari al 58% del valore patrimoniale, un multiplo praticamente uguale a Rcs sotto Opa di Andrea Bonomi. E i nostri gestori perché vendono?». Un altro analista sostiene che Gac potrebbe essere aiutata nell'eventuale operazione «solo se il governo cinese, attraverso il sistema bancario, garantisse al gruppo le risorse necessarie. Vedo realizzabile, da parte di Gac, la produzione - anche sotto la Muraglia - delle berline americane Dart e 200 di Fca. Non dimentichiamo, inoltre, che l'andamento in Borsa di ieri è successivo a una giornata fortemente negativa per il Lingotto e che il titolo risale solo quando si parla acquisizioni».

Vero è che Gac (sesto costruttore in Cina con 1,3 milioni di auto sfornate nel 2015), prima di affrontare un'operazione così complessa, nonostante le ambizioni di grandezza, deve fare i conti con le altre joint venture locali (oltre che per Jeep di Fca, produce anche per Honda, Toyota e Mitsubishi). E resta da vedere se a queste Case il piano di sviluppo di Gac negli Usa, dove sono protagoniste dirette, sta bene o meno. Lo stesso può valere per i grossi rivali cinesi, come Saic (oltre 5,8 milioni di auto prodotte), che potrebbero sentirsi insidiati.

Sullo sfondo, infine, c'è il fatto che a più di un anno dalla dichiarazione di Sergio Marchionne sulla necessità per Fca di consolidarsi, si sono registrate solo risposte negative. In particolare dai big: Gm, Ford, Toyota, Renault, Hyundai e Volkswagen.

E se il «tappo» fosse proprio Marchionne? E quindi la reticenza dei colleghi ceo a trattare con lui a causa della sua «durezza»? E se il presidente John Elkann decidesse di negoziare in prima persona, come reagirebbe l'ad? Sono domande che molti analisti si pongono e il segnale di qualche possibile tensione ai vertici di Fca.

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