Economia

Fiat, questa volta è ko Fiom: a Pomigliano può licenziare Le tappe della vicenda

Fiat, questa volta è ko Fiom: a Pomigliano può licenziare Le tappe della vicenda

L'estenuante braccio di ferro tra Fiom e Fiat questa volta vede il Lingotto aggiudicarsi un importante punto. Il giudice del lavoro del Tribunale civile di Roma ha respinto il ricorso, presentato dalla Fiom, contro la procedura di mobilità aperta da Fiat e riguardante 19 operai dello stabilimento di Pomigliano, alle porte di Napoli.
Si tratta delle 19 tute bianche campane che risultano ora in esubero a seguito della riammissione in fabbrica, dalla cassa integrazione e nel rispetto del verdetto pronunciato dalla Corte d'appello di Roma, di altrettanti lavoratori del sindacato guidato da Maurizio Landini. Di fatto, però, il giudice del lavoro ieri ha riconosciuto che un tribunale non può interferire con gli organici prestabiliti da un'azienda.
Ecco perché, ora, il Lingotto ha visto accendersi, suo malgrado, il semaforo verde per la messa in mobilità di 19 suoi dipendenti. Non saranno gli stessi 19 della Fiom, comunque. Il Lingotto, a questo proposito, ha 120 giorni di tempo per decidere chi dovrà abbandonare la linea di montaggio della Panda: un periodo lungo, circa 4 mesi, durante il quale molte cose potrebbero cambiare a favore (segnali di ripresa del mercato dell'auto e, quindi, necessità di potenziare l'organico) o a sfavore di queste persone. Senza dimenticare, però, che nei patti tra Fiat e sindacati (tutti eccetto la Fiom) c'è l'impegno del gruppo, entro il 13 luglio, a far rientrare tutti i cassintegrati in fabbrica.
Da entrambe la parti, però, esiste la consapevolezza che se il mercato dell'auto rimane asfittico, sarà necessario studiare una soluzione alternativa e non traumatica. È questo, in pratica, è il succo del verbale di «mancata intesa» siglato il 14 gennaio scorso.
Soddisfatti per il round a favore i legali del Lingotto impegnati nel braccio di ferro. «L'ordinanza del Tribunale di Roma è particolarmente significativa - commenta l'avvocato Giacinto Favalli, dello studio Trifirò&Partners di Milano - innanzi tutto perché, in via generale, ha ribadito e sottolineato il principio, fondamentale, ma che a volte sembra essere stato erroneamente offuscato da altre decisioni giudiziarie, secondo cui è l'imprenditore l'unico soggetto legittimato a determinare la struttura e gli organici della propria azienda. Inoltre, con specifico riferimento al comportamento di Fabbrica Italia Pomigliano, il provvedimento ha accertato che l'apertura della procedura di licenziamento collettivo non è connotata da profili di carattere ritorsivo o discriminatorio, bensì dalle ragioni di carattere produttivo dedotte dalla società, vale a dire da motivi collegati all'andamento complessivo del mercato automobilistico, i quali consentono, allo stato, di mantenere solamente determinati livelli numerici di organico aziendale».
La Fiom non ci sta e annuncia ricorso, mentre Landini, forse sentendo più di un malumore intorno a sé, mette le mani avanti: «Un giorno la Fiom potrà anche decidere legittimamente di firmare l'ultimo accordo separato, ma non con me segretario». Gli risponde Ferdinando Uliano, segretario nazionale Fim: «Landini non ha ancora capito che l'azione messa in campo dalle organizzazioni sindacali firmatarie degli accordi si pone l'obiettivo di evitare licenziamenti di qualsiasi lavoratore di Pomigliano, indipendentemente dal fatto che sia iscritto o non iscritto a questo o quel sindacato. Dei circa 4.300 lavoratori in forza, fino a oggi ne sono stati ricollocati circa 3.200; per i restanti 1.100 in cassa integrazione a zero ore c'è l'impegno nell'accordo a ricollocarli. Sull'allungamento dei tempi, data la difficile situazione del mercato, stiamo costruendo le condizioni per andare oltre il periodo di cassa integrazione».
E il leader della Uil, Luigi Angeletti: «La Fiom ha smesso di fare sindacato, si è tramutata in un collegio di avvocati; e nei tribunali si vince o si perde».

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