Economia

Fondi pensione all’esame di governance

 Covip e Tesoro ridisegnano il sistema della previdenza integrativa 

Fondi pensione all’esame di governance

Covip e Tesoro ridisegnano il sistema della previdenza integrativa. Si chiude l’epoca dei consulenti tuttofare non regolamentati e della sottovalutazione dei rischi. Le società dovranno indicare in un documento la strategia di investimento e gli obiettivi da raggiungere, definire ruoli e compiti degli advisor esterni e rispettare vincoli qualitativi ispirati alla sana e prudente gestione.

Andrea Tomistico

Può sembrare strano, considerata la generale flessione di tutti gli indicatori economici e finanziari, ma i fondi pensione hanno abbondantemente battuto la crisi. Nel 2008 le cose erano andate in maniera molto diversa. Il terremoto dei mutui subprime aveva trascinato nell’abisso, insieme ai listini e all’obbligazionario, tutti i prodotti della previdenza complementare, con rendimenti passati dal 2,1% del 2007 al –6,3% per i fondi negoziali e dal -0,4% al -14% per quelli aperti. Tutt’altra la musica nel 2012. I dati ufficiali diffusi a fine anno dalla Covip sono chiari: dopo 12 mesi poco entusiasmanti, ma non catastrofici, la previdenza integrativa ha ripreso a correre, con guadagni che, nel confronto tra il dicembre 2011 e il settembre scorso, hanno registrato balzi percentuali del 6,2% per i fondi negoziali, con picchi dell’8,6% per il comparto azionario, e del 7,4% per i fondi aperti (9,3% l’azionario). Risultati che hanno permesso di ottenere una vittoria netta sul concorrente diretto. La rivalutazione garantita per legge del Tfr, che nel 2008, mentre tutto il mondo andava a rotoli, aveva registrato un ottimo 2,7% di crescita, nel 2012 ha invece dovuto lasciare il passo ai fondi pensione, con un aumento che non è andato oltre il 2,5%. Se i numeri fossero sempre questi, la partita della previdenza complementare sembrerebbe vinta in partenza. Soprattutto dopo la rivoluzione pensionistica introdotta dalla riforma Fornero. Come ha recentemente sintetizzato il presidente della Covip, Antonio Finocchiaro, «le pensioni di primo pilastro destinate alle nuove generazioni, interamente calcolate col metodo contributivo, saranno certamente meno generose, in alcuni casi in maniera significativa, rispetto a quelle delle generazioni precedenti; anche coloro che andranno in quiescenza con la rendita pensionistica calcolata col sistema misto godranno di trattamenti pensionistici di base ridotti rispetto a quelli oggi conseguibili».

 

Adesioni in frenata Eppure, la previdenza completare resta, sostanzialmente, al palo. Le ultime rilevazioni della Covip parlano addirittura di una diminuzione delle adesioni dello 0,8% per i fondi pensione negoziali e di un incremento limitato al 2,1% per quelli aperti. Dati molto negativi, se si pensa che, complessivamente, a oggi solo un lavoratore su quattro ha deciso di aderire a una forma di previdenza complementare. Rapporto che scende a un quinto tenendo conto della mancata o limitatissima alimentazione di circa un milione di posizioni individuali. In questo scenario, ha sottolineato Finocchiaro, il problema è capire «perché i fondi pensione, quelli negoziali in particolare, mostrano difficoltà a raggiungere la platea dei potenziali aderenti per porli nelle condizioni di effettuare una valutazione adeguata e consapevole delle proprie prospettive pensionistiche e la connessa opportunità di ricorrere alla previdenza complementare».

Nuovi modelli di gestione Le cause della stagnazione, secondo il presidente della Covip, sono «molteplici, in larga misura esogene al settore, in parte riconducibili allo stesso». Tra queste ultime spicca la sfiducia dei lavoratori e, in particolare, la convinzione diffusa che si tratti di un’iniziativa costosa e a rischio troppo elevato. Per elevare la reputazione del settore, secondo Finocchiaro, è necessario, tra le altre cose introdurre «nuovi modelli di gestione delle risorse previdenziali finalizzati a migliorarne l’efficienza allocativa» e «razionalizzare la governance delle forme pensionistiche». Ed è proprio in questa direzione che vanno gli ultimi interventi della Covip, a partire dalla delibera dello scorso marzo relativa alla Disposizione sul processo di attuazione della politica di investimento. Obiettivo del provvedimento, si legge nella relazione illustrativa, è quello di porre al «centro della politica di investimento la necessità di individuare combinazioni rischio-rendimento efficienti» allo scopo di «accrescere la redditività delle forme pensionistiche complementari e di contenere il grado di rischio, correlando la strategia finanziaria con l’arco temporale coerente con le caratteristiche degli aderenti e i loro bisogni previdenziali, limitando l’entità degli oneri di negoziazione».

Il ruolo della funzione finanza Tra i punti centrali del nuovo regolamento c’è l’obbligo per tutte le forme pensionistiche complementari che hanno più di 100 aderenti (comprese quelle che gestiscono le risorse finanziarie mediante convenzioni assicurative di ramo I, III e V) di redigere un documento sulla politica di investimento che indichi gli obiettivi della gestione finanziaria, i suoi criteri di attuazione, i compiti delle responsabilità dei soggetti coinvolti nel processo nonché i sistemi di controllo e valutazione dei risultati.

La Covip è poi tornata sull’argomento con una circolare del 30 ottobre 2012, che aveva l’obiettivo di definire i profili applicativi della delibera del 16 marzo. In particolare per i fondi di maggiore dimensione, sopra i 1.000 aderenti, che hanno l’obbligo di adeguarsi subito alle nuove normative, mentre per i più piccoli c’è tempo fino al dicembre 2013. Di rilevante importanza nella ridefinizione delle varie fasi del processo di investimento e nell’attribuzione di compiti e responsabilità, secondo l’authority, sarà la configurazione della funzione finanza nell’ambito dell’assetto organizzativo dei fondi. L’istituzionalizzazione della funzione, si legge nel documento, «quale strategico presidio della gestione finanziaria, si pone come affinamento del processo di evoluzione dei modelli organizzativi interni sollecitato dalla Commissione dal 2003, verso l’adozione di assetti più strutturati, in grado di supportare efficacemente lo svolgimento delle attività gestionali nel rispetto dei criteri di sana e prudente gestione».

Più regole per l’advisor esterno Ed è qui che si inserisce l’advisor esterno, una figura centrale nel nuovo modello di gestione, di cui la Covip nell’articolo 5 del regolamento del marzo 2012 ridefinisce ruolo, compiti e limiti. Con particolare attenzione ai possibili conflitti di interesse tra società a cui è affidata la funzione finanza e i soggetti incaricati della gestione delle risorse degli iscritti. Di questo si è occupato un convegno organizzato a Roma da Ascosim, l’associazione delle sim di consulenza, a cui hanno partecipato Massimo Scolari, segretario generale dell’organismo di categoria; Mauro Marè, presidente di Mefop; Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza; Giampaolo Crenca, presidente del Consiglio nazionale degli attuari; Filippo Brunetti e Vincenzo Troiano, partner dello studio Chiomenti, oltre ad alcuni rappresentanti dei fondi pensione (Fausto Amadasi, Domenico Proietti, Alessandro Sancassani e Gianfranco Verzaro). Da tempo, Ascosim sollecita interventi normativi e regolamentari in grado di definire una volta per tutte il ruolo dei vari soggetti coinvolti nei processi di investimento e la regolamentazione alla quale devono sottostare le società di advisor della previdenza complementare. Questa richiesta vuole principalmente (su questo in perfetta sintonia con la Covip) garantire la massima indipendenza dei soggetti che offrono ai clienti consulenza in materia di investimenti. Un’indipendenza che nel caso dei fondi pensione è stata finora messa a rischio proprio da una scarsa trasparenza gestionale e organizzativa.

A questo proposito Scolari, nel corso del convegno, ha citato alcuni dati emersi dal bollettino statistico Mefop (società per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione) che indicava le principali aree di attività dei consulenti dei fondi. In particolare la definizione dell’asset allocation strategica, la selezione dei gestori finanziari e il controllo della gestione finanziaria. Su 36 soggetti presi in esame da Mefop 34 si avvalevano di advisor esterni. Ma in 18 di essi, ha spiegato Scolari, «vi era lo stesso consulente per tutte e tre le funzioni». Si tratta, chiaramente, di una pericolosa sovrapposizione dei ruoli, tra chi decide le strategie di investimento e chi dovrebbe invece controllare quelle scelte.

I rischi non sono solo sulla carta. Alcuni anni fa l’organismo bicamerale di controllo sui fondi pensione «ha accertato che molte delle casse coinvolte in scelte finanziarie altamente rischiose all’epoca del fallimento della Lehman Brothers avevano come referenti i medesimi advisor».

D’altra parte, come ha spiegato nel corso del suo intervento Marè, il fatto che gli advisor esterni spesso coprano più ruoli, anche in contrasto fra loro, «avviene spesso per espressa domanda dei fondi pensione, che prediligono, anche per motivi dimensionali, una semplificazione della struttura organizzativa».

 

L’approccio qualitativo In questo scenario si inserisce la richiesta di Ascosim e di Mefop di stabilire un principio chiaro di «distinzione dei ruoli tra soggetti che partecipano alla gestione di un portafoglio e chi ne controlla i rischi e i rendimenti, in coerenza con il principio di separazione tra funzioni operative e di controllo». Istanza recepita dal regolamento Covip, che non solo introduce un nuovo approccio qualitativo agli investimenti, sottolineando la necessità di «una preparazione professionale e un livello di conoscenze ed esperienza adeguati alle mansioni svolte», ma prevede anche che, «con riferimento all’eventuale soggetto esterno incaricato di svolgere la funzione finanza e all’advisor, devono essere previste l’indipendenza rispetto ai soggetti incaricati della gestione e le modalità di remunerazione».

Una volta eliminati i potenziali conflitti di interesse, il fondo pensione dovrà arrivare anche a un uso più consapevole e responsabile dell’advisor esterno. Secondo Marè, infatti, i «recenti provvedimenti normativi vanno nella direzione di irrobustire la governance dei fondi e le strutture interne». È qui, anche per quei soggetti che si siano affidati a un advisor esterno, che devono necessariamente essere delineate le strategie di investimento e gli obiettivi finanziari da raggiungere. La nuova normativa della Covip prevede, infatti, che l’advisor fornisca una valutazione indipendente dell’andamento dei mercati finanziari, coadiuvi l’organo di amministrazione nell’impostazione della politica di investimento ed elabori analisi e raccomandazioni «al fine di assicurare la coerenza dell’insieme delle azioni intraprese con gli obiettivi perseguiti». E se il fondo dovesse decidere di esternalizzare anche la funzione finanza, dovrà comunque assumersi la responsabilità delle scelte e dei risultati. La circolare di ottobre, ha detto Marè, invita infatti «i fondi pensione a illustrare le ragioni di tale decisione e a descrivere le attività esternalizzate, le modalità di interazione fondo-advisor e i presidi posti in essere per controllare la sua attività».

 

Il regolamento ministeriale Chiunque se ne occupi dovrà comunque operare all’interno di paletti molto più rigidi rispetto al passato. Parallelamente alla Covip, infatti, per garantire la sicurezza dei risparmi dei cittadini e sgombrare il campo dai rischi speculativi e dai conflitti di interesse si è mosso anche il Tesoro, attraverso la ridefinizione del decreto ministeriale 703 del 1996, che stabiliva criteri, regole e limiti di investimento delle risorse dei fondi pensione.

Il nuovo approccio è basato principalmente sul passaggio dai vecchi vincoli puramente quantitativi e percentuali, che in alcuni casi non sono risultati sufficienti a evitare disastri gestionali, a principi di carattere qualitativo che tengano conto della diversa natura dell’investimento previdenziale rispetto a quello finanziario. Alcuni dei vecchi paletti resteranno in vigore (non oltre il 20% del patrimonio in fondi hedge, non oltre il 30% in strumenti finanziari non negoziati in mercati regolamentati e in merci non oltre il 5%, esposizione valutaria entro il 30%), ma la nuova disciplina ruoterà intorno al concetto di gestione prudente e a un serrato controllo dei rischi.

Terreni su cui, nel rispetto di ruoli e competenze, sarà determinante sia la crescita professionale degli organismi interni dei fondi sia il supporto delle competenze e delle capacità delle società di consulenza esterne.

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