Economia

La fortuna di Mr. Manley: Fca pesca il jolly in Messico

Il Lingotto si libera dell'incubo dazi, ma ora produrre in Centro America diventerà meno conveniente

La fortuna di Mr. Manley: Fca pesca il jolly in Messico

Il nuovo ad di Fca, Mike Manley, a poco più di un mese dalla sua nomina, pesca un primo jolly. Quello dell'accordo commerciale tra Stati Uniti e Messico, Paese che il presidente Donald Trump aveva messo nel mirino subito dopo essere stato eletto. Ora tocca al Canada raggiungere un'intesa con la Casa Bianca. Le minacce di Trump di applicare dazi pesantissimi sui costruttori di auto che esportano negli Usa dal Messico e dal Canada, hanno rappresentato fin dal primo momento una forte preoccupazione da parte di Sergio Marchionne, l'ex ad del Lingotto scomparso il 25 luglio scorso.

Messico e Canada, infatti, ospitano numerosi stabilimenti di automobili. E non solo dei costruttori Usa (Gm, Ford e Fca). Il basso costo del lavoro e agevolazioni varie hanno via via spinto anche le Case europee e asiatiche a investire fiumi di dollari in questi Paesi.

Tutte strategie invise a Trump il quale ha chiesto, in più occasioni, di spostare le produzioni entro i confini Usa, allo scopo di rafforzare l'industria del settore e a beneficio dell'occupazione. In caso contrario sarebbe partita la rappresaglia a colpi di dazi.

In Messico, Fca ha due impianti: a Toluca - dove nascono le Fiat 500, le Jeep Compass e Renegade, e la Dodge Journey - e a Santillo, che produce i motori a 8 cilindri montati sui Ram 2500 e 3500, nonché il furgone Ram ProMaster. Due fabbriche anche in Canada: a Windsor (Chrysler Pacifica e Dodge Grand Caravan) e Brampton (Chrysler 300 e altri due modelli Dodge).

Se da una parte Manley, con l'auspicio che Usa e Canada trovino pure l'intesa, vede quasi risolto il problema che ha portato all'addio del Nafta, dall'altra il nuovo capo di Fca è consapevole che produrre in Messico costerà di più, con la conseguenza che il gruppo dovrà mettere in conto un assottigliamento dei margini. Fca, inoltre, è il costruttore più esposto alla revisione del defunto Nafta: nel 2017, come ricordato da Banca Akros, il Lingotto ha prodotto 600mila veicoli nei due Paesi, destinati per l'80% al mercato americano. Dal Messico, inoltre, proviene il 100% delle Jeep Compass, modello molto richiesto, e del pick-up Ram Heavy Duty commercializzati negli Stati Uniti.

Il Canada, da parte sua, ha un peso rilevante per l'industria dell'auto a stelle e strisce. Particolare riconosciuto dal segretario al Tesoro di Washington, Steven Mnuchin: «Il nostro mercato e quello canadese - ha puntualizzato - sono molto intrecciati. Per loro è importante ottenere questo accordo, come lo è anche per noi». «Vedremo se il Canada entrerà nell'intesa con il Messico o se ci sarà un accordo separato», ha affermato Trump, minacciando dazi sulle auto made in Canada qualora le trattative si risolvessero in un buco nell'acqua. «I dazi - ha aggiunto il presidente - sarebbero la strada più facile da seguire, ma noi vogliamo aiutare anche i nostri vicini».

In Borsa, dopo il botto di lunedì coinciso con l'annuncio dell'accordo a due tra Usa e Messico, ieri c'è stata una pausa per le azioni della galassia Agnelli. Fca ha perso lo 0,11% a 14,98 euro, Ferrari è salita dello 0,36% a 110,45 euro e il titolo della holding Exor ha guadagnato lo 0,16% a 56,56 euro.

Sarà ora interessante vedere se l'America Latina avrà un sussulto sul tema dazi. Il Messico, infatti, può esportare liberamente automobili.

Chissà se Trump finirà per contagiare anche le burrascose nazioni sudamericane, alle quali nuove entrate sarebbero bene accettate.

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