Economia

Generali, si alza il muro dell'italianità

Caltagirone: «Io ci tengo molto». E i soci tricolori (23% del capitale) scavalcano gli stranieri

L'ingresso della storica sede triestina delle Assicurazioni Generali
L'ingresso della storica sede triestina delle Assicurazioni Generali

In un'assemblea che non portava al voto grandi temi e non aveva all'ordine del giorno rinnovi di poltrone, a tenere banco tra soci di Generali ieri a Trieste è stata l'italianità. Con la «magnifica preda», come Enrico Cuccia definiva la prima compagnia assicurativa italiana, diventata un polmone finanziario di dimensioni internazionali, l'attenzione resta sempre alta.

Già in passato i movimenti interni all'azionariato triestino hanno fatto da termometro per testare la capacità del sistema italiano di far fronte ad eventuali offensive straniere. Con l'occhio rivolto soprattutto a Parigi. Francese è l'ad di Generali, Philippe Donnet, manager vicino a Bolloré, e l'ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier, a sua volta amico di Donnet. Unicredit e Bolloré sono i primi due soci di Mediobanca che, a sua volta, è determinante nel controllo di Generali. E soprattutto francese è Bolloré che dopo l'ingresso nel capitale di Piazzetta Cuccia ha mosso la sua Vivendi all'arrembaggio di Mediaset e Telecom, dove la contrapposizione Italia-Francia è arrivata al limite. Tanto da far alzare barricate a Cdp in assenza di un esecutivo in carica.

Eppure, negli ultimi mesi qualche spia si è accesa anche nella «pancia» del Leone dove soci pesanti come il gruppo Caltagirone e la famiglia Benetton hanno cominciato a fare acquisti di titoli. Il primo ha rafforzato la presa salendo dal 3,65% dell'anno scorso al 4%, i secondi tramite la holding Edizione figurano ora al 3,04 per cento. Come per mandare un messaggio: ci siamo, abbiamo i soldi e rappresentiamo un argine. Insomma, se qualcuno vorrà mettere le mani su Generali, sappia che prima dovrà fare i conti con noi. «Non so le motivazioni di Benetton, noi siamo saliti perché credo nella società, che sta andando bene», ha detto ieri Francesco Gaetano Caltagirone (che del Leone è anche vicepresidente) a margine dell'assemblea. Senza escludere nuovi acquisti («dipende dal mercato) e aggiungendo una frase non casuale: «Io tengo molto all'italianità». Guardando agli altri soci, Mediobanca si è diluita dal 13 al 12,95% per la recente emissione di oltre 3 milioni di azioni della compagnia assicurativa, legata al piano di incentivazione di lungo termine (la quota è comunque destinata ad essere ridotta al 10% nei prossimi anni). Completa il gruppo dei maggiori azionisti Delfin, la finanziaria di Leonardo Del Vecchio, al 3,15 per cento. Proprio il patron di Luxottica ha commentato con un «magari», l'ipotesi che sulla compagnia vengano fatte operazioni, «anche dall'estero», sulla falsariga di quella ipotizzata da Intesa a inizio 2017 perché «operazioni così fanno piacere agli investitori, fanno salire il titolo».

L'ad Donnet minimizza: «Non mi risultano mire su Generali, non chiedete a me, quello che so è che i nostri azionisti sono soddisfatti». Eppure il nucleo dei soci italiani con quote superiori al 3% è tornato a superare gli investitori istituzionali esteri nel capitale della compagnia. Complessivamente, con l'incremento della quota di Caltagirone e l'ingresso di Benetton, il nocciolo tricolore vale infatti il 23,12% contro il 19,79% del 2017. Gli istituzionali esteri, invece, sono scesi complessivamente al 22,91% dal precedente 24,37% (nel 2016 erano al 19,87% e nel 2015 al 20,97%).

Il bilancio ieri è stato approvato con una percentuale bulgara: al momento del voto erano presenti azionisti in proprio o per delega con il 52,8% del capitale e di questi per il 99,7% hanno votato a favore. La relazione sulla remunerazione ha poi raccolto voti favorevoli pari al 93,6% dei presenti in assemblea, che erano pari in quel momento al 52,7% del capitale.

I contrari sono stati il 5,2%, astenuti l'1,06 per cento.

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