Economia

La Gran Bretagna non ci sta: "Ad Atene mai i nostri soldi"

Il piano era quello di allargare a tutti e 28 i Paesi europei il piano di aiuti alla Grecia. Ma Londra è chiara: "Non facciamo parte dell'euro, arrangiatevi"

La Gran Bretagna non ci sta: "Ad Atene mai i nostri soldi"

Si sono sentiti offesi, come se qualcuno gli avesse presentato il conto per un invito a cena mai accettato. Quindi hanno detto un «no» talmente chiaro e netto da fare saltare i tavoli tecnici che ieri a Bruxelles cercavano di attuare le prime misure per salvare la Grecia dal fallimento. Il famoso «prestito ponte» che serve ad Atene a fronteggiare l'emergenza, pagare stipendi e pensioni soprattutto.

La motivazione del No è semplicissima e l'ha spiegata il ministro delle finanze del Regno unito George Osborne: «La Gran Bretagna non è un Paese dell'euro, l'idea che contribuenti britannici mettano soldi sul tavolo non può proprio partire». I quotidiani inglesi hanno subito calcolato quanto sarebbe la spesa: 850 milioni di sterline, circa 1,2 miliardi di euro.

Tutto nasce dal tentativo dell'Ecofin, cioè il Consiglio dei ministri dell'Ue, di allargare a tutti i 28 paesi il piano di aiuti, utilizzando la versione allargata del piano di aiuti che si chiama Efsm. Se fosse utilizzata ora permetterebbe di spalmare su più governi la spesa. Su tutti quelli dell'Unione europea. Quindi converrebbe a chi dovrà pagare in ogni caso, ad esempio noi, che rientriamo anche nella versione ristretta del piano, l'Esm. Quello al quale abbiamo già versato quasi 40 miliardi.

L'ipotesi avanzata dai ministri Ue, non conviene invece a chi non fa parte dell'Euro. Il cancelliere dello scacchiere prima della riunione di ieri ha telefonato ai colleghi ministri dell'area Euro ricordandogli che c'è un accordo del 2010 che esclude l'utilizzo di risorse dell'Unione europea per salvare i paesi euro in crisi. «L'eurozona - ha rincarato la dose ieri - deve coprire da sola il suo conto». Un messaggio «arrivato chiaro e forte» da Londra ai «colleghi dell'area euro», ha spiegato una fonte del governo britannico al quotidiano The Indipendent .

Dello stesso avviso il governo croato, che sta per entrare nell'Euro, ma, visto che ancora non è a pieno titolo nel club, non vuole pagare la tessera ad altri paesi non proprio virtuosi come la Grecia. Sul fronte del «No», anche la Polonia.

La risposta dell'Ue è stata prima ufficialmente prudente. Ieri mattina fonti dell'Ecofin spiegavano che i vari no spuntati ad un prestito ponte finanziato con soldi dell'Unione, «pongono un problema». Ma poi, le stesse fonti ricordavano come per l'uso del fondo non serva l'unaminità. Utilizzare soldi di tutti senza un consenso unanime, non può che aprire un problema politico enorme in Europa. Benzina sul fuoco dei tanti che nel Regno Unito chiedono di uscire dall'Ue, ad esempio.

Infatti ieri sera l'ipotesi Efsf è rapidamente tramontata. Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, riconoscendo le difficoltà, ha detto che vanno definiti strumenti per fronteggiare i pagamenti internazionali fino al momento in cui non sarà operativo il prestito dell'European Stability Mechanism, cioè l'Esm. Un modo per dire ai non-euro che il conto da pagare, almeno per loro, è quello di 12 miliardi e non quello complessivo da 50-60 miliardi, che ricadrà totalmente nei bilanci degli stati Euro.

Ad esempio l'Italia. Ieri il portavoce del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha assicurato che «l'eventuale finanziamento dalla Grecia da parte del fondo Esm non comporta alcun esborso da parte dei singoli Stati membri». Il riferimento è al fatto che l'Italia come gli altri ha già sottoscritto il capitale del fondo per 125 miliardi (a fronte dei 190 della Germania e dei 142 della Francia ). Per l'ultimo programma ne sono stati già versati 14,3 miliardi.

Già altri sono già a bilancio, ma usciranno comunque dalle nostre casse.

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