Economia

Grido di allarme di Confindustria: "L'industria rischia la distruzione"

Il documento di proposte dell'associazione presentato alla politica in vista del voto: "Se non ci muoviamo l'alternativa è il declino"

Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi
Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi

"In Italia è alto il rischio di una distruzione della nostra base industriale. È un’emergenza economica e sociale". Nel presentare il progetto "Crescere si può, si deve" approvato oggi dalla Giunta, la Confindustria lancia un profondo grido d'allarme e chiede alla politica di voltare pagina con una terapia d'urto che sconfigga, una volta per tutte, la crisi economica che sta mettendo in ginocchio le imprese e sta strangolando le famiglie. "L’Italia ha bisogno di una vera e propria terapia d’urto, che deve segnare una forte discontinuità e produrre effetti economici immediati", si legge nel documento programmatico che Confindustria presenterà ai partiti politici in vista delle elezioni.

La richiesta avanzata dagli industriali è semplice: rendere nuovamente competitive le imprese abbattendo i costi e sostenendo gli investimenti. Una richiesta che, al di là delle promesse fatte da Mario Monti quando è approdato a Palazzo Chigi, i tecnici hanno sempre disatteso. Al ministero dello Sviluppo economico, per esempio, di Corrado Passera si ricordano - ol­tre ai mille tavoli aperti e non chiusi - le mirabolanti promes­se di 100 miliardi di euro per la crescita entro l’anno e di 120mila nuo­vi posti di lavoro. Promesse che sono rimaste nelle carte del superministro. "Siamo in un’emergenza economica e sociale", ha commentato il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi invitando a realizzare "uno stato che sia amico di chi tutti i giorni si impegna a produrre benessere e occupazione" perché, "se il Paese non sarà capace di fare scelte forti, anche nei prossimi anni ci sarà una ripartenza che non supererà lo 0,5%". Non è stato fatto meglio al ministero dell'Economia. Vittorio Grilli non è, infatti, riuscito a snellire i colossali debiti che la macchina pubblica ha con le imprese. "Dare ossigeno alle imprese con il pagamento immediato di 48 miliardi di debiti commerciali accumulati da Stato ed enti locali, che sono debito pubblico occulto", si legge nel report della Confidustria che invita il governo a "tagliare dell’8% il costo del lavoro nel manifatturiero e cancellare per tutti i settori l’Irap che grava sull’occupazione".

Nonostante il ritratto a tinte fosche disegnato dagli analisti di viale dell'Astronomia, Squinzi ha lanciato al prossimo governo un appello affinché dia l'avvio a un processo di riforme. "Siamo arrivati all’ultimo minuto per cambiare volto al Paese partendo dalle istituzioni del Paese - ha aggiunto il presidente della Confindustria  - abbiamo bisogno di un’Italia liberale e di uno Stato che lasci spazio a più concorrenza dei privati". Con la "terapia d’urto" che l'associazione degli industriali suggerisce di attuare alla politica, è possibile mobilitare 316 miliardi di euro nel giro di soli cinque anni. In questo modo, il tasso di crescita si innalzerebbe al 3%, il pil aumenterebbe in cinque anni di 156 miliardi di euro (al netto dell’inflazione) e l’occupazione si espanderebbe di 1,8 milioni di unità. Stando a questi calcoli, infatti il tasso di occupazione potrebbe salire al 60,6% nel 2018 dal 56,4% del 2013 (+4%) e, al tempo stesso, il tasso di disoccupazione scenderebbe all’8,4% dal 12,3% atteso per il 2014. E ancora: il peso dell’industria tornerebbe al 20% del valore aggiunto dell’intera economia, gli investimenti balzerebbero del 55,8% cumulato e l’export si innalzerebbe del 39,1% arrivando al 36,7% del pil. Nelk quadro individuato da viale dell'Astronomia, il reddito medio delle famiglie che vivono di lavoro dipendenti nel 2018 sarà più alto di 3.980 euro reali, mentre l’inflazione rimarrà attorno all’1,5%.

Infine, la produttività aumenterà di quasi l’1% medio all’anno, il deficit pubblico diventerà un consistente surplus, il debito cadrà al 103,7% del pil, la pressione fiscale scenderà dal 45,1 al 42,1% e le spese correnti al netto degli interessi dal 42,9% al 36,9%.

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