Economia

La "Hugonomics" alla prova del dopo Chavez: anche Cuba trema

I programmi sociali del caudillo scomparso costano troppo, deficit e debito aumentano a dismisura. Il petrolio, che finanzia l'intera economica, alla lunga non basta più. L'Avana teme una riduzione degli aiuti cospicui che giungono da Caracas

La "Hugonomics" alla prova del dopo Chavez: anche Cuba trema

Sopravviverà, e quanto a lungo, la Hugonomics alla morte del suo fondatore Hugo Chavez? Gli ultimi dati ufficiali forniti dalla banca centrale di Caracas appaiono buoni: nel 2012 l'economia ha visto un'espansione del 5,5%, superiore alle attese, ed il prezzo elevato del petrolio - 103 dollari al barile nella media dell'anno - ha consentito al Paese forti entrate dall'estero. Nonostante questo, tuttavia, il deficit statale ha raggiunto circa il 20% del Pil e il debito pubblico ha toccato a fine 2012 il 52% del Pil contro il 23% del 2008: in quattro anni l'indebitamento è più che raddoppiato. L'inflazione supera il 20%. E l'impossibilità di mantenere la politica del cambio forte ha costretto il governo a svalutare, nello scorso mese di febbraio, il bolivar. La moneta nazionale è passata da un cambio ufficiale di 4,3 bolivares per dollaro a 6,3: una svalutazione del 32% che renderà assai più care tutte le importazioni, da cui il Venezuela dipende.

Secondo la maggior parte degli economisti che seguono gli avvenimenti del Paese latino-americano, la politica dirigista di Chavez, basata su generosi programmi sociali finanziati esclusivamente dalle esportazioni di greggio, semplicemente non può andare avanti a lungo. Su un totale di esportazioni per 92,60 miliardi di dollari, il petrolio vale 88,13 miliardi. Il petrolio fornisce il 90% della valuta estera e il 50% delle entrate governative. Nel contempo, la spesa publica cresce a ritmi forsennati, intorno al 30% all'anno, per pagare nuova edilizia popolare, programmi di alfabetizzazione e di assistenza sanitaria con l'aiuto di medici cubani. Nel 2012 il mercato delle costruzioni ha fatto ragistrare una crescita di poco inferiore al 30%.
La totale dipendenza dal petrolio espone il Venezuela a forti rischi. Con i proventi delle vendite di greggio il Paese acquista prodotti di ogni tipo dall'estero e paga il debito contratto con altre Nazioni. La Cina acquista 650 mila barili al giorno di petrolio venezuelano, ma 200 mila barili, quasi un terzo, vengono «offerti» da Caracas come pagamento degli interessi dei bond acquistati da Pechino. Non ci sono cifre ufficiali sull'ammontare del debito acquistato dalla Cina, che tuttavia viene stimato in più di 45 miliardi di dollari. «Le decisioni di Chavez possono essere prese ad esempio di come non condurre una politica economica», dicono nelle banche internazionali.

Con i progenti del greggio, Chavez ha finanziato generosamente alcuni Paesi «fratelli» in America latina, in particolare Cuba. L'economia cubana è in buona parte «Venezuela dipendente», un po' come avveniva con l'Unione sovietica fino alla caduta del muro. Caracas fornisce greggio gratuitamente o a prezzo politico, paga circa 7 miliardi di dollari l'anno per l'«importazione» di 40 mila medici che garantiscono di fatto la sanità pubblica venezuelana, finanzia attraverso le sue banche progetti di svilupo nell'isola, e provede a fornire garanzia finanziarie per gli investitori che approdano a l'Avana. Se il delfino di Chavez, Nicolas Maduro, resterà alla guida del Venezuela, Cuba continuerà per un po' di tempo ad essere finanziata e sussidiata.

Ma anche qui la domanda è: quanto a lungo? Se, come prevedono banche d'affari americane ed agenzie di rating, la Hugonomics si rivelerà non più sostenibile anche a breve tempo, allora le conseguenze si faranno sentire anche all'Avana.

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