Economia

I bond secolari danno l'1%. L'ex Bot people "a secco"

I titoli con rendimento negativo sono 14.520 miliardi, più del Pil cinese

I bond secolari danno l'1%. L'ex Bot people "a secco"

Il reddito fisso è morto. Almeno quello che una volta garantiva guadagni sicuri attraverso l'acquisto di titoli di Stato. L'epitaffio dei bei tempi andati è inciso sul Bond Matusalemme austriaco: scade fra 100 anni, rende meno dell'1%. Una miseria. Roba buona solo per lo Stato emittente e per gli speculatori di professione, magari capaci di lucrare sulle variazioni di prezzo. Vienna è però solo l'espressione più marcata del new normal imposto dalle banche centrali sui mercati obbligazionari internazionali. Essendo diventati i vari quantitative easing, «Zirp» e «Nirp» non più misure d'emergenza ma attrezzi d'uso quasi quotidiano, pret à porter, i mercati sono ormai intasati da titoli sovrani che non solo non rendono un centesimo, ma su cui paga dazio chi li possiede. In giro per il mondo si aggira così una sorta di «Bondzilla» geneticamente modificato, senza più alcun contatto con l'ortodossia finanziaria, e di cui dovrebbe spaventare la progressione debordante delle dimensioni. A livello globale, le obbligazioni con rendimento negativo sono infatti passate in poco più di un mese da un controvalore pari a 12.300 miliardi di dollari, a 14.520 miliardi, una cifra superiore all'intero Pil cinese. Ma ciò che più allarma è, appunto, la dilatazione esponenziale del fenomeno, che all'inizio del 2014 era circoscritto ad appena 20 miliardi di dollari. A renderla possibile, l'imitazione su scala planetaria del modello giapponese di contrasto alla deflazione. Mutuato perfino dall'Australia. In meno di un lustro, un Paese come la Germania ha rimodellato l'intera filiera dei Bund schiacciando tutti i rendimenti sotto zero. Identica la situazione in Olanda, mentre in Paesi come Francia, Belgio e Finlandia solo le obbligazioni con durata superiore ai 10 anni rendono ancora qualcosa (poco, per la verità). Se la Svizzera chiede una fee a chi ha in portafoglio un suo titolo a 50 anni, l'Italia rappresenta invece un'eccezione: solo i rendimenti dei titoli a tre e sei mesi sono sotto la linea di galleggiamento. Tensioni politiche e alto livello dell'indebitamento pubblico, in assenza di correzioni sostanziali, sono tributi che gli investitori chiedono al nostro Paese. Ma non appena la Bce, probabilmente sotto la regia di Christine Lagarde, rimetterà in moto la giostra del Qe, è prevedibile una compressione verso il basso anche dei tassi legati ai Btp per effetto del venir meno delle tensioni sullo spread. Con la Fed ormai incamminata su un sentiero di riduzione del costo del denaro, lo scenario che si prospetta negli Usa è identico. Già ora la «squadra» delle obbligazioni a stelle e strisce garantisce rendimenti ai minimi dell'ultimo biennio, con il trentennale scivolato fino all'1,3%. Eppure il denaro continua a riversarsi sul mercato americano a causa della necessità di trovare un rifugio sicuro e rendimenti appena decenti. Ma non durerà. Le conseguenze? A patto di non alzare il grado di rischio investendo nei Paesi emergenti (con perdite potenziali indotte anche dai rapporti di cambio), le compagnie di assicurazione e i fondi pensione, che hanno target di rendimento da raggiungere, si troveranno quindi sempre più in difficoltà. Per non dire dei risparmiatori, la cui sola alternativa potrebbe essere quella di puntare sui mercati azionari. Con tutti i pericoli del caso. In assenza di politiche coordinate a livello mondiale, questa situazione è destinata solo a peggiorare.

Ma in tempi di protezionismo crescente, non si vede come possa essere dispiegato uno sforzo congiunto di tale portata.

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