Economia

I dazi, la Ue e la "sindrome" cinese

I dazi, la Ue e la "sindrome" cinese

In un libro appena uscito («Fuoco e furia») sul primo anno di presidenza Trump, il giornalista americano Michael Wolff racconta che l'inquilino della Sala Ovale ha fatto sempre fatica a pronunciare il cognome del suo collega cinese Xi Jinping. Per aiutarlo, i suoi collaboratori gli hanno, così, consigliato di chiamare Xi con il pronome personale inglese «she». Ebbene, anche se adesso cita al femminile il premier ora a vita di Pechino e la sua predilezione per le donne è risaputa, Donald è sempre più distante dal collega con gli occhi a mandorla. L'ultimo atto della «guerra» è stato il varo dei dazi per 60 miliardi di dollari imposti dalla Casa Bianca ai prodotti del pianeta giallo: un drastico giro di vite che giunge negli stessi giorni in cui Trump ha congelato l'aumento delle accise nei confronti dell'Europa in attesa dei risultati di una trattativa appena avviata. La stangata americana è giustificata dall'interscambio con i prodotti «made in China» sempre più in profondo rosso per Washington: qualcosa come 500 miliardi di dollari o giù di lì.

Ma la sindrome cinese non riguarda, purtroppo, solo gli Stati Uniti. Già da tempo, infatti, la Ue sta combattendo un'analoga battaglia. Soprattutto l'Italia - con una ripresa economica che deve ancora consolidarsi anche per colpa dell'assoluta incertezza politica di questi tempi - è costretta a fronteggiare l'invasione dei prodotti asiatici mentre altri Paesi, ad esempio la Germania, possono destreggiarsi meglio avendo raggiunto accordi bilaterali con Pechino. Per la verità, molto è stato già fatto perché, nello scorso autunno, l'Europarlamento ha varato misure anti-dumping relatore del provvedimento Salvatore Cicu, Ppe-Forza Italia - per tutelare le imprese continentali dalla concorrenza troppo aggressiva dei prodotti cinesi (e non solo). Una boccata d'ossigeno soprattutto in alcuni settori vitali come la siderurgia, il fotovoltaico, la produzione di biciclette e l'industria della ceramica.

I primi effetti del giro di vite europeo si sono già avvertiti, ma ora non dobbiamo abbassare la guardia per un motivo molto semplice. Lo spiega a il Giornale lo stesso relatore Cicu: i cinesi, trovando la porta chiusa americana, saranno ora obbligati a cercare nuovi sbocchi commerciali e l'Europa, nonostante le misure di Strasburgo, ridiventa appetibile per «cause di forza maggiore» . Ribadisce l'europarlamentare italiano.

La sfida globale non risparmia, insomma, nessuno e, con quello che sta succedendo soprattutto in Italia, la Cina è sempre più vicina.

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