Economia

I modelli di advice a pagamento

La sfida della consulenza impegna reti di promozione finanziaria, banche, sim e advisor indipendenti, ognuna con strategie proprie. Ma il settore non ha ancora una regolamentazione definitiva. Se ne è parlato in una tavola rotonda organizzata a Rimini da BancaFinanza

I modelli di advice a pagamento

Si chiama consulenza il futuro del comparto dei servizi d’investimento finanziario. Un futuro vicino, i cui contorni pian piano si stanno definendo con maggiore chiarezza. Un argomento che è stato affrontato e approfondito nella tavola rotonda di BancaFinanza organizzata nell’ambito dell’It Forum 2013 di Rimini dal titolo I modelli di servizio della Consulenza finanziaria a pagamento. Promotori finanziari, banche, sim, spa e srl, consulenti indipendenti si stanno organizzando per proporre sul mercato il servizio di consulenza separato dal collocamento e remunerato a parte. Ecco come. Alla tavola rotonda hanno partecipato: Cesare Armellini, presidente di Nafop; Emanuele Bellingeri, responsabile per l’Italia di Ishares; Andrea Lacalamita, responsabile global products and strategic marketing di Unicredit; Germana Martano, direttore generale di Anasf; Andrea Ragaini, amministratore delegato di Banca Cesare Ponti; Massimo Scolari, segretario generale di Ascosim; Marco Tofanelli, segretario generale di Assoreti. L’incontro è stato introdotto da Angela Maria Scullica e moderato da Marco Muffato, rispettivamente direttore responsabile e giornalista di BancaFinanza.

Mifid 2, una partita ancora aperta Il tema dell’affermazione dei diversi modelli di consulenza a pagamento è sicuramente strettamente legato alla Mifid 2, cioè alla revisione della direttiva europea sui servizi d’investimento che potrebbe favorire l’ulteriore affermazione delle modalità dell’offerta di advice finanziaria. Direttiva, comunque, per la quale si dovrà attendere probabilmente il prossimo anno e sui cui contenuti c’è ancora incertezza. «Non sono convinto che la Mifid 2 verrà approvata entro fine dicembre», ha spiegato Tofanelli. «A oggi abbiamo tre proposte, una della Commissione europea del 20 ottobre 2011, un testo del parlamento approvato il 26 ottobre 2012 in prima lettura, una bozza di proposta del consiglio del 15 aprile 2013. Tre versioni diverse l’una dall’altra da parte dei tre organi che entreranno in gioco nella definitiva emanazione della direttiva, con la conseguenza che non è chiaro quale risulterà vincente».

Il segretario generale di Assoreti ha ricordato come «l’ultima proposta del Consiglio europeo, prevede a proposito della consulenza indipendente che chi riceve commissioni da soggetti terzi debba poi rigirarle a favore del cliente. E quindi presuppone che la commissione possa essere percepita anche se poi va girata al cliente, ribaltando così uno dei cardini delle proposte precedenti focalizza sul fee only, cioè sulla remunerazione della fee da parte del cliente».
Mifid 2, in ogni caso, fisserà precisi paletti su pricing e remunerazioni. «Nella seconda versione della direttiva», continua sul tema Scolari, «ci sono altri due riferimenti relativi alla remunerazione: uno che prevede una maggiore trasparenza delle condizioni economiche applicate nel caso di abbinamento dei servizi finanziari, per esempio collocamento abbinato al servizio della consulenza».

C’è, poi, «un altro articolo recentemente introdotto nei nuovi testi che riguarda proprio le politiche di remunerazione», continua Scolari. «Non si tratta soltanto di salvaguardare gli interessi del risparmiatore per quanto riguarda la percezione degli incentivi esterni provenienti dalle case prodotto o da altre società esterne: la Mifid 2 potrebbe introdurre anche elementi di disciplina sugli incentivi interni alle strutture. E su questo, la seconda versione della direttiva europea afferma che nessuno può essere incentivato a vendere un determinato prodotto se questo è inferiore rispetto a un’altra offerta collocata dalla banca».

A proposito di inducement, Germana Martano sottolinea che «il legislatore europeo presto si renderà conto che le realtà nazionali sono differenti. E, quindi, arriverà a una soluzione di compromesso fra le tre proposte dell'istituzione Ue, evitando il divieto di incentivo e puntando sull’incremento del livello di trasparenza».

Promotori e private banker Quale sarà il modello di servizio vincente nella consulenza finanziaria a pagamento? Certamente, tra i protagonisti più qualificati di questo nuovo mercato si candidano i promotori finanziari. Per Martano, infatti, «la consulenza è nel dna del promotore finanziario perché l’ha dimostrato negli ultimi 30 anni. In Italia esistono modelli che funzionano secondo direttrici differenti tra rete e rete di promozione finanziaria, e ognuno di questi dall’avvio della Mifid ha trovato la modalità e la strategia commerciale per rispettare le norme nell’ambito del proprio modello di business».

Ma cosa significa, invece, per una realtà del private banking il mercato odierno della consulenza finanziaria a pagamento? Che ricavi possono essere generati da questa attività? Secondo Ragaini, «il mercato del private banking in Italia è di 898 miliardi di euro di masse complessive che fanno capo a famiglie con più di 500 mila euro. Il mercato servito dalle strutture di private banking è del 50% pari a 431 miliardi di euro. La considerazione triste è che il mercato del private non cresce in Italia così come il mercato del risparmio in generale. La consulenza finanziaria si innesta in questo contesto come un elemento fondamentale per provare a differenziarsi - e quindi a competere - in un mercato maturo, insieme alle leve quali la riduzione dei costi, la focalizzazione e poi la tecnologia».

La consulenza, ha continuato Ragaini, «ci permetterà di sviluppare le fonti di ricavo erose dalla raccolta diretta e dalla minore redditività della raccolta indiretta. Le revenue, però, rappresentano al momento meno del 5% dei ricavi dell’industria: il percorso non è certamente facile sia dal lato dell’offerta sia della domanda. Altra osservazione: il 40% dei ricavi dell’industria del private banking arriva da rebate di management fee su fondi comuni di investimento; se la Mifid 2 andasse a eliminare questa voce, quel 40% dovrebbe essere compensato da altre fonti di ricavo».

Ma il mercato della consulenza finanziaria ne deve fare ancora di strada, almeno in Europa e in Italia, in particolare. Come sottolinea Lacalamita, un gruppo bancario che sta investendo moltissimo sull’advice.

«Una delle differenze con il mercato Usa è che questo è client driver nel fee only - cioè è stato il cliente a pretendere e imporre un servizio diverso. In Europa si lavora intensamente sui modelli di servizio, sulla normativa e i processi ma il mercato non è ancora pronto: se il cliente non si evolve, tutto questo sforzo immane di regolazione rischia di essere vano. Noi abbiamo adottato un modello di consulenza molto semplice partendo dal cliente, che prima affrontava 105 voci di costo. Che sono state azzerate a fronte di un’unica voce commissionale nel banking e nel trading che concordiamo insieme».

Altro tema è il livello di delega offerto dalle strutture private al private banker. Questi lavorano su portafogli modello precostituiti o interviene nella costruzione del portafoglio stesso? Per Ragaini, «la guida dei bisogni d’investimento nell’orizzonte finanziario di investimento è di pertinenza del private banker. Quindi intervengono i team centrali che devono costruire i portafogli modello o personalizzati a seconda degli importi e devono mettere in grado il private banker di governare un processo di consulenza che passi dai bisogni, arrivi alle scelte d’investimento e si fermi al controllo del rischio. C’è sinergia, quindi, e non antitesi tra le due attività».


Cosa succede nel mondo anglosassone Per capire cosa potrebbe diventare il mercato della consulenza finanziaria è opportuno dare un’occhiata a quello che succede nei mercati inglese e americano. In Gran Bretagna, dal primo gennaio 2013, è entrato in funzione un nuovo sistema di regolamentazione, la Retail distribution review, meglio nota come Rdr, che si appresta a rivoluzionare il mercato britannico della consulenza. La Rdr è stata voluta per raggiungere una maggiore professionalizzazione della consulenza finanziaria (si richiedono maggiori requisiti di formazione e di capitale agli advisor) e per abolire il pagamento delle commissioni-retrocessioni dalle case-prodotto su un’ampia serie di prodotti finanziari retail. In futuro, ogni pagamento che riceve l’advisor (che sia indipendente o no), dovrà essere concordato con il cliente e non stabilito dalla casa prodotto. Lo scopo della Rdr è di determinare migliori risultati per i clienti retail attraverso una migliore qualità della consulenza e una maggiore trasparenza sul suo costo, facendo capire all’investitore che la buona consulenza va pagata. Secondo Bellingeri, «sono passati solo pochi mesi dall’applicazione della Rdr ed è difficile dare un parere preciso. Ma stiamo notando che diversi clienti hanno abbandonato il servizio di consulenza tradizionale offerto dalla distribuzione per passare al fai-da-te attraverso operatori on line. Dal mercato sono usciti advisor con portafogli piccoli, e probabilmente i loro clienti sono gli stessi che sono passati al fai da te. A livello di prodotti, abbiamo assistito a una diminuzione nel collocamento dei fondi comuni - per la prima volta inferiori ai 4 miliardi di sterline nel primo trimestre del 2013 - e c’è stato un aumento dei fondi indice e degli Etf: questo è un fatto positivo per i risparmiatori, perché ora c’è più possibilità di scelta. Un mercato fortemente evoluto, dove l’argomento della consulenza a parcella non è tabù per definizione, è quello statunitense. Quali analogie e differenze ci sono con il nostro modello di consulenza a pagamento? Come ha spiegato Tofanelli, «negli Usa abbiamo tre grandi categorie professionali: le wired house, come Merrill Lynch e Wells Fargo; i regional broker e dealer come Edward Jones, e i consulenti indipendenti fee only, cioè quelli che utilizzano le piattaforme on line per lavorare. Tutti i professionisti impiegati nelle tre categorie sono definiti financial advisor: i primi sono dipendenti, i secondi sono agenti collegati, i terzi sono indipendenti. E sono coloro che prestano la consulenza con modalità organizzative differenti. Il mio auspicio è che nel nostro mercato in evoluzione si vada verso questa caratterizzazione. I financial advisor delle wired house sono circa 55 mila mentre sono 45 mila circa i broker dealer. Più complicato il censimento dei consulenti indipendenti, che poggiano i loro clienti alle piattaforme on line» (a questo proposito Armellini ha ricordato che «l’associazione dei consulenti fee only Usa ha festeggiato quest’anno i 30 anni, vantando un numero di iscritti vicino ai 30 mila advisor»).
Altro fenomeno osservato: «Ci sono brand differenti all’interno dello stesso gruppo per diversi segmenti di clientela e si lavora in team», prosegue Tofanelli. «Il team qui nasce dal basso, da gruppi di soggetti che ritengono di potersi aggregare. Solamente nel segmento ultra high net worth c’è il fee only e il pagamento della parcella, negli altri segmenti gli operatori sono remunerati con commissioni. La lezione del mercato statunitense è che lo sviluppo non va imposto dall’alto ma va assecondato quello naturale. O decidiamo di imporre i mercati a tavolino con il rischio che non nascano oppure li lasciamo andare intervenendo dove è necessario solo per tutelare il cliente», ha osservato Tofanelli a conclusione del suo intervento.

Contratto europeo Sempre a proposito di internazionalità, l’Anasf ha presentato recentemente una proposta di un contratto europeo dei promotori finanziari, che potrebbe essere adottato dalle società mandanti. Un contratto che potrebbe contribuire positivamente sull’evoluzione del ruolo consulenziale del promotore finanziario.
«L’idea che ci ha mosso è di adeguare il contratto dei promotori all’evoluzione normativa anche a livello internazionale che nel frattempo si è consolidata, come nel caso della Mifid nata sette anni fa», ha spiegato Martano, «ma non solo: abbiamo ipotizzato istituti che favoriscano lo sviluppo del mercato e quello numerico dei promotori finanziari quali tirocinio e praticantato, dove è possibile fare un ragionamento di sistema con le società. E poi la possibilità di svolgere il lavoro di promotore finanziario in team, dove esiste un inquadramento europeo che permette di svolgere l’attività come persona giuridica oltre che come persona fisica. Infine, con il contratto ci proponiamo di regolamentare anche questioni annose come il rapporto previdenziale del promotore finanziario».

Limbo normativo Guardiamo ancora a casa nostra. C’è una questione annosa e irrisolta che riguarda l’albo dei consulenti finanziari indipendenti. A oltre sei anni dalla legge istitutiva, non è stato ancora costituito. Ci sono i regolamenti Consob e Banca d’Italia per i consulenti persone fisiche e le società di consulenza finanziaria, certo. Ma ritarda incredibilmente l’ultimo atto, e cioè quello della costituzione dell’organismo. Che quindi darebbe, concretamente, il via all’albo. L'impasse ha fermato lo sviluppo di una categoria professionale, quella dei consulenti finanziari indipendenti, che in quell’albo vedeva invece una speranza di sviluppo della professione.
Tuttavia, anche in assenza di un albo, la categoria ha cercato di svolgere comunque un ruolo positivo tra i risparmiatori. «La nostra principale attività oggi è assistere gli studi legali e le procure, condurre trattative
dirette con le banche, analizzare i questionari della clientela per verificare che siano in linea con i loro profili di rischio», ha affermato Armellini. «Siamo costretti a svolgere un lavoro di periti tecnici e siamo gli unici soggetti a difesa di soggetti come le aziende oltre che degli stessi risparmiatori».

Fatta la premessa, Armellini conclude che «l’unica attività che ci è vietata è la raccomandazione personalizzata di strumenti finanziari. Oggi si può aprire uno studio di consulenza finanziaria indipendente con ritorni interessanti anche senza albo». Un’evoluzione che spinge Tofanelli a puntualizzare: «Chi fa consulenza nelle forme previste dall’articolo 18 bis svolge un’attività che integra la raccomandazione su un prodotto, è riservata e va vigilata. Quest’altra attività così descritta non può essere definita consulenza finanziaria».
«L’idea che ci sia un sistema bancario-finanziario che fa i servizi di investimento, tra cui la consulenza, e sia difeso esternamente solo da consulenti indipendenti e avvocati mi pare piuttosto estrema», ha sottolineato invece Scolari. «Il punto fondamentale è osservare bene come vengono prestati i servizi d’investimento dal sistema bancario e dalle reti di vendita. Le pratiche sono molto difformi: c’è chi applica le normative in modo positivo e tutelante per il cliente, c’è chi non le applica affatto. Bisogna far prevalere i comportamenti che salvaguardano maggiormente i risparmiatori». «La Mifid 2», ha continuato Scolari, «in realtà sta già trovando manifestazioni concrete di applicazione in termini di nuovi prodotti e di servizi realizzati da banche e reti di promotori, che hanno provato così ad anticipare sul campo la tendenza della normativa cercando al contempo nuove opportunità di business. Secondo me sono effetti positivi. Io sono un gradualista, rispetto a quanto succedeva nel sistema finanziario dal 2003, quando gli esposti alla Consob erano molti di più degli attuali, oggi l’effetto dell’applicazione della Mifid e delle conseguenze della crisi finanziaria è stato visibile e positivo sia per banche, promotori e consulenti indipendenti che per i clienti».

Tutti insieme E se a sbrogliare il nodo dell’albo dei consulenti fosse il già pienamente operativo albo dei promotori? «Dopo sei anni di proroghe mi riesce difficile immaginare che tutto questo venga cancellato», ha affermato Martano di Anasf, associazione che con Abi e Assoreti fa parte dell’Apf, cioè dell’organismo preposto alla gestione dell’albo dei promotori. «Se la consulenza finanziaria è quella soggetta a riserva ritengo che ci siano delle affinità, può essere una strada. Bisognerebbe, però, chiederlo al Mef più che a noi». Un’ipotesi, quella di confluire nell’Apf che, alla fin fine, non dispiacerebbe a chi rappresenta i consulenti indipendenti anche perché «noi vogliamo dare applicazione all’articolo 18 bis e ter, così da consentire una piena operatività ai consulenti finanziari», ha aggiunto Armellini.
Anche Tofanelli tende una mano ai consulenti finanziari indipendenti. «Faremo un convegno proprio su questo tema (si è svolto a Stresa lo scorso 15 giugno, vedi box in pagina, ndr), per ipotizzare un’architettura normativa complessiva degli organismi preposti alla gestione degli albi. Ricostruzione che non può essere rimandata, anche nell’interesse degli stessi consulenti finanziari. I quali, se prestano un’attività riservata, devono essere vigilati per una miglior tutela del risparmiatore e se saranno inseriti all’interno dell’Apf lo deciderà il Mef e la Consob con le necessarie modifiche a livello legislativo e regolamentare. Naturalmente, anche noi siamo pronti a fare la nostra parte per risolvere questa situazione».

 

La consulenza farà bene agli Etf Il ritardo nell’albo dei consulenti indipendenti ha danneggiato il percorso di crescita degli Etf, da sempre strumento finanziario principe delle pianificazioni effettuate dai consulenti finanziari indipendenti? «L’assenza dell’albo non ha condizionato l’ascesa degli Etf: continuano a crescere a prescindere, mietendo record su record. Ma è un peccato per gli investitori privati italiani, che non riescano a beneficiare di questi strumenti a causa dell’assenza dell’albo. La figura del consulente indipendente deve essere regolata al pari delle altre».
Il settore del private banking ha pregiudizi nei confronti degli Etf? Risposta negativa, almeno nel caso di Unicredit, «Nel nostro caso assolutamente no», ha affermato Lacalamita. «Abbiamo realizzato un accordo con Ishares che attesta proprio l’assenza di una preclusione. In Italia abbiamo un mercato potenziale enorme, la ricchezza delle famiglie è di 9 trilioni di euro, di cui solo tre sono finanziari, tra depositi, fondi ed Etf. Quindi si devono utilizzare tutti gli strumenti disponibili per dare al cliente ciò che gli serve. Non abbiamo preclusioni per alcun tipo di operatore».
Convincere il cliente a pagare la parcella Il nodo per l’affermazione dei tanti modelli di business collegati alla consulenza finanziaria: riusciranno gli operatori a convincere i clienti a pagare una parcella per i consigli ricevuti? «Bisogna creare una cultura finanziaria verso l’investitore per introdurre su larga scala la consulenza finanziaria a pagamento», ha osservato sul tema Bellingeri. «Se pensiamo che ai clienti sono stati venduti prodotti negli anni scorsi con commissioni di entrata del 5%, non vedo perché quegli stessi clienti oggi non possano pagare 80 basis point per la consulenza ricevuta».
Dov’è il problema maggiore per convincere i clienti o i private banker sulle qualità e potenzialità della consulenza a pagamento? Per Ragaini, «a differenza di quanto accade negli Stati Uniti, la cultura finanziaria media del risparmiatore italiano non porta a pagare la consulenza. Quindi, i private banker preferiscono lavorare in un solco già tracciato che in uno ancora da definire. Invece, dovrebbero far capire al cliente che pagare la consulenza è un valore. Ci aspetta un duro lavoro in questo senso».

 

Promotori e consulenti: verso l’albo unico?

Una norma introdotta sei anni fa ha dotato gli advisor di un elenco. Ma, finora, la legge è rimasta lettera morta.
Per superare l’impasse, le associazioni di categoria hanno lanciato un’idea: riunire le due categorie sotto un unico cappello...

 

Forse è davvero vicina la svolta nell’annosa querelle sull’albo dei consulenti finanziari, da sei anni al palo malgrado la legge italiana ne abbia previsto la costituzione? Dal convegno annuale di Assoreti di Stresa dello scorso 15 giugno è emersa una soluzione che era nell’aria, quella della unificazione dell’albo dei consulenti e promotori finanziari, proposta elaborata da Raffaele Lener, ordinario nel dipartimento di Giurisprudenza dell’università Tor Vergata di Roma, per conto dell’associazione presieduta da Antonio Spallanzani. Nel corso del suo intervento, Lener, infatti, ha affermato che «sembra possibile tracciare una sostanziale assimilazione tra queste due figure professionali, considerando i seguenti fattori: l’attività svolta può consistere in entrambi i casi nel servizio di consulenza in materia di investimenti; il settore in cui questi soggetti operano è quello finanziario e, infatti, la disciplina del servizio di consulenza trova fondamento nel Tuf; l’autorità di vigilanza che viene in considerazione è la Consob».

 

Lener ha concluso che «sarebbe pertanto del tutto ragionevole unificare Acf e Apf, per esempio, mediante la costituzione di un nuovo organismo che riunisca i soggetti deputati alla prestazione e alla distribuzione del servizio di consulenti». Con quali caratteristiche? «Il nuovo organismo dovrebbe esercitare nei confronti di tutti gli iscritti agli albi, o anche all’unico albo articolato in diverse sezioni, identici funzioni e poteri», ha aggiunto Lener. «La decisione che si dovrebbe assumere sarebbe allora, alternativamente, quella di assegnare all’organismo funzioni di vigilanza e poteri sanzionatori anche sui promotori finanziari (poteri attualmente assenti, ndr), o privarlo di questi poteri anche sui consulenti finanziari (al cui organismo sarebbe prevista la delega anche di funzioni di vigilanza, ndr), riassegnandoli alla Consob». Una proposta che ha ottenuto consenso in sala tra gli operatori presenti e tra gli stessi esponenti di Consob, Mef e Apf presenti al tavolo dei relatori cioè Tiziana Togna, Alessandro Rivera e Giovanna Giurgola Trazza. Una proposta che è stata accolta con molto favore anche dalle associazioni che rappresentano i consulenti finanziari indipendenti e le sim di consulenza, ovvero Nafop e Ascosim, e tale da indurre i due presidenti Cesare Armellini e Rosario Rizzo, a scrivere una lettera congiunta e inviata a Consob, Mef, Apf, Abi, Anasf e Assoreti. Prima di tutto, i due hanno espresso apprezzamento «per la proposta avanzata che consentirebbe, una volta varate le necessarie integrazioni alla regolamentazione e superate alcune difficoltà di natura organizzativa, di avviare l’operatività dell’albo dei consulenti finanziari da molto tempo atteso dagli operatori». E poi per manifestare «disponibilità alla collaborazione e a partecipare ai tavoli di lavoro sul tema della consulenza che verranno avviati prossimamente, nel pieno rispetto dell’autonomia di tutti i soggetti coinvolti». Il nuovo elenco potrebbe prendere la sola denominazione di “albo unico dei consulenti finanziari”, rispondendo così ai desiderata dei promotori, desiderosi di abbandonare una denominazione mai particolarmente amata e di fregiarsi nuovamente di quella di consulenti finanziari, di loro pertinenza fino alla legge del 1° gennaio 1991, che istituiva le sim e - appunto - l’albo promotori. Non sembra impossibile, dunque, che il 1° gennaio 2014 rappresenti il day 1 del nuovo organismo. Bisognerà capire, nel frattempo, se nel board del nuovo Acf entreranno a far parte anche i rappresentanti delle associazioni dei consulenti finanziari, come sarebbe logico, ma che rischiano invece di esserne estromessi per ragioni di rappresentatività, visti i numeri di gran lunga inferiori rispetto alla categoria degli attuali promotori (è ragionevole pensare che gli advisor che si iscriveranno saranno al di sotto dei 1.000, contro i 52 mila attuali dell’albo promotori). Altri aspetti da definire sono: se il nuovo elenco (come probabile) ospiterà anche le persone giuridiche, come previsto a proposito dell’albo dei consulenti nell’articolo 18 ter del Tuf. E, infine, se anche le funzioni di vigilanza sugli iscritti verranno affidate al nuovo organismo unico dei consulenti finanziari (e, secondo alcuni addetti ai lavori, ciò potrebbe avvenire a partire dal 1° gennaio 2015). Queste le ipotesi e i nodi da sciogliere.

Spetta ora a Consob e Mef dare il via a questo profondo restyling con rapidità, per dimenticare quegli infiniti sei anni di limbo normativo dei consulenti finanziari.

 

 






 

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