Economia

I punti critici della vigilanza unica

Da marzo 2014 partirà il nuovo sistema di controlli europeo, che amplierà i poteri della Bce. Come? Quali saranno le problematiche da affrontare? E le successive implicazioni? Se ne è parlato in una tavola rotonda organizzata da BancaFinanza e da Nifa

I punti critici della vigilanza unica

La vigilanza bancaria europea, da tempo sotto i riflettori, è stata investita da nuovi cambiamenti a fine 2012. L’accordo tra i 27 paesi, raggiunto dopo una lunga trattativa, ha infatti disegnato il nuovo sistema continentale di controlli, che - salvo proroghe - dovrebbe partire l’1 marzo 2014. Ma, prima di raggiungere questo traguardo, le autorità competenti dovranno sciogliere parecchi nodi. Infatti, dopo l’accordo raggiunto dai 27 paesi, sono sorte parecchie perplessità sull’efficacia della soluzione proposta. I punti più critici sono il mancato assoggettamento a controlli di interi pezzi del mercato finanziario; le possibili situazioni di conflittualità tra Bce e banche centrali nazionali o altri organismi di controllo europei; le commistioni tra funzione di politica monetaria e aspetti di sorveglianza che fanno capo allo stesso organismo (la Bce).

Per cercare di fare chiarezza su questi aspetti, Nifa (New international finance association, l’associazione interdisciplinare che riunisce personalità provenienti dal mondo accademico, giornalistico, professionale e associativo per approfondire e comprendere l’evoluzione in corso nel mondo finanziario internazionale) ha organizzato con la collaborazione di BancaFinanza, presso la sede dell’Agenzia Generale Ina Assitalia di Firenze, una tavola rotonda, moderata dal direttore Angela Maria Scullica e da Filippo Cucuccio, giornalista e assistente del presidente dell’Associazione nazionale per lo studio dei problemi del credito (Anspc). Al dibattito hanno partecipato: Maurizio Baravelli, ordinario di Economia degli intermediari finanziari alla Sapienza di Roma; Vittorio Conti, commissario Consob; Marcello Messori, ordinario di Economia politica presso la Luiss di Roma; Vladimir Nanut, direttore del Mib all’università di Trieste; Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi ed Enrico Tupone, segretario generale dell’Associazione italiana banche estere. Ed ecco che cosa è emerso.

Domanda. Quali sono i principali punti di forza e di debolezza degli accordi che hanno istituito la vigilanza unica?

Messori. Per svolgere una valutazione complessiva di queste misure occorre considerare il quadro di riferimento tracciato dal consiglio europeo lo scorso fine giugno, e i successivi passi compiuti dal parlamento e dalla commissione. Nel complesso, penso che si tratti di un “compromesso alto”. Ho detto “compromesso” perché le misure adottate sono il frutto di una mediazione tra le alternative sostenute dai diversi stati membri. E ho detto “alto” perché si è comunque avviato un processo che, se avrà successo, romperà il circolo vizioso fra due tipi di crisi: quella del settore bancario e quella del debito sovrano. E costituirà un passo decisivo per l’unificazione del mercato finanziario nella Ue. Certo: ho ben chiaro che le decisioni, prese lo scorso dicembre dall’Eurogruppo e avallate dal successivo Consiglio europeo, hanno riguardato la sola vigilanza, mentre assai poco è stato deciso per gli altri due pilastri su cui dovrà fondarsi l’unione bancaria: il sistema di garanzia sui depositi e il meccanismo di risoluzione delle crisi. Inoltre, ci sono punti di debolezza anche nella soluzione adottata sulla vigilanza europea. Un primo elemento di criticità è dato dal fatto che l’architettura della vigilanza europea prevede una modalità di cooperazione fra autorità (europea e nazionali) che è simile a quella prevista nel meccanismo dell’Antitrust. E questa non ha sempre funzionato bene, nonostante la presenza di un “libro unico” (single book) delle regole. Nel caso della vigilanza sul settore bancario, questo libro deve essere costruito dall’Eba, e sarà applicato dalla Bce. È quindi legittimo dubitare della reale efficacia del meccanismo indiretto di vigilanza che sarà esercitato dall’istituto centrale europeo sulle banche di minore dimensione, e con presenza prevalentemente nazionale. Un secondo punto critico riguarda i rapporti fra Bce ed Eba: in particolare, si rischia che le maggioranze qualificate (previste nelle decisioni dell’Eba, per tutelare i paesi non euro e restii ad aderire al processo di unione bancaria), finiscano per bloccare la definizione di un single book rule. Infine, il terzo punto critico, che riguarda i rapporti fra gli stati membri dell’Unione economica e monetaria europea (Uem) e quelli extra euro, ma aderenti all’unione bancaria. Realisticamente le soluzioni di governance, proposte per la Bce non sembrano efficaci.

Sabatini. Anche per me, le misure di dicembre (soprattutto il via libera politico al regolamento per l’attribuzione di poteri di vigilanza alla Bce), rappresentano un primo e fondamentale passo verso l’obiettivo - fatto proprio dal Consiglio del 29 giugno 2012 - di «spezzare il circolo vizioso tra banche e debito sovrano». L’entrata in vigore della nuova vigilanza Bce è prevista per l’1 marzo 2014, con la possibilità per la stessa Bce di prolungare il periodo di transizione. Occorre essere consapevoli che creare un’unione bancaria è un passo di grande rilievo, con maggiori implicazioni rispetto all’integrazione finanziaria dei paesi dell’area euro, ma anche alle finanze pubbliche, alla governance europea e, in ultima analisi, all’integrazione politica. Tra i punti di forza del nuovo meccanismo unico di supervisione (a cui partecipano Bce e autorità nazionali) vi è certamente l’azzeramento - almeno a livello di Eurozona - delle differenze nelle pratiche di vigilanza. In questo modo è possibile conseguire un’effettiva omogeneità, nel pieno rispetto del principio della proporzionalità. La Bce non potrà fare raccomandazioni dirette alle banche su cui non esercita la vigilanza, è vero. Tuttavia, assumerà il potere di definire regole, orientamenti o dare istruzioni generali alle autorità nazionali su requisiti di capitale, restrizione del business, riduzione dei rischi, limitazione delle remunerazioni variabili, imposizione di specifici requisiti di liquidità e misure di intervento precoce come la rimozione del management. Si tratta di un risultato che, per il settore bancario italiano implica la risoluzione delle disparità competitive sorte dalla presenza di diversi approcci di vigilanza nell’ambito del mercato unico dei servizi finanziari. L’unica nota negativa sembra essere rappresentata dal compromesso al ribasso che è stato raggiunto per il flexibility package, la discrezionalità concessa alle autorità nazionali di settare i buffer addizionali di capitale. Il pericolo è che si trasformi in un nuovo strumento con il quale le autorità nazionali potrebbero rendere difficile la gestione accentrata della liquidità nei gruppi transfrontalieri. Da uno studio informale della Commissione europea, risulta che il flexibility package potrebbe portare a un’ingiustificata penalizzazione dei gruppi transfrontalieri, arrivando in alcuni casi a imporre un requisito patrimoniale del 22%. In altri termini, è vivo il timore che la possibilità di imporre misure nazionali non coordinate e comunque non preventivamente approvate dalla Bce, venga utilizzata dalle autorità nazionali per frammentare il mercato unico.

Conti. Per individuare una chiave di lettura che aiuti a contestualizzare le misure del dicembre scorso, occorre ricordare che un sistema finanziario integrato, come quello che si sta costruendo in Europa, non può prescindere da un adeguato insieme di incentivi regolamentari. Questi incentivi devono fare riferimento a regole comuni, poteri di vigilanza bancari sovranazionali e a un sistema efficace che assicuri i depositi. Vanno inoltre aggiunte regole per la gestione e la risoluzione delle crisi per scoraggiare le aspettative di salvataggi sovranazionali. Il Consiglio europeo ha richiamato la necessità di riforme strutturali adatte per rispondere alla crisi; proprio a questa forte determinazione devono essere ricondotti anche gli sforzi per promuovere l’unione bancaria come ingrediente per una più solida integrazione economica. A queste argomentazioni si è poi sovrapposta la necessità di rispondere ad alcune emergenze che la crisi ha posto sul tavolo dei policy maker europei. Tra queste la necessità di: interrompere il circuito vizioso tra debito sovrano e settore bancario; creare un terreno di gioco livellato tra le banche dell’unione; salvaguardare la stabilità finanziaria in un contesto caratterizzato dalla crescente integrazione dei mercati nell’area euro, possibile veicolo di contaminazioni tra le dinamiche che li caratterizzano. Non a caso, i lavori che accompagnano la nascita dell’unione bancaria fanno riferimento a quattro elementi fondamentali: garanzia dei depositi, risoluzione delle crisi, vigilanza prudenziale e regolamentazione comune. Il processo avviato risulta problematico non tanto per la presenza di difficoltà tecniche insormontabili, quanto per resistenze di tipo “politico”, spesso messe in campo per preservare autonomie di intervento a livello nazionale. Senza dimenticare che, se si vogliono rispettare le tempistiche, è problematico realizzare questo progetto. I passi finora compiuti, insomma, sono utili, e vanno nella direzione giusta, anche se riflettono ciò che si è “potuto fare” per mettere in sicurezza il sistema. Occorre essere consapevoli che i compromessi raggiunti condizioneranno le fasi successive.

Baravelli. Vorrei affrontare il tema da un’ottica un po’ diversa, spostando l’attenzione su due possibili prospettive di approccio al tema: quella dell’emergenza per contrastare la crisi (che attualmente prevale) e quella di ordine strutturale, che riguarda il rafforzamento della stessa unione economica e monetaria europea e il suo funzionamento. In effetti, l’esigenza di progettare l’unione bancaria è nata sulla spinta di un’urgenza: rompere il legame vizioso tra il rischio legato al debito sovrano e quello bancario. Per consentire al fondo salvastati di finanziare direttamente le banche in difficoltà in presenza di controlli di vigilanza omogenei nell’eurozona e nella Ue. È, quindi, soprattutto dal secondo punto di vista che l’unione bancaria europea rappresenta un passo in avanti importante. Non solo per l’integrazione finanziaria, ma anche per la crescita dell’Europa. Con un sistema di vigilanza unica accentrata presso la Bce e l’armonizzazione delle prassi dei controlli si rafforza la stabilità; si creano condizioni di parità competitiva fra le istituzioni finanziarie dei paesi membri, soggette a vincoli analoghi e modalità di supervisione; aumenta la fiducia verso e tra le istituzioni e si incentiva il mercato unico. Sulla carta, i vantaggi sono molti. Ma non si devono trascurare le difficoltà di realizzare rapidamente i tre pilastri dell’unione bancaria europea - oltre alla vigilanza accentrata, un sistema di garanzia europea dei depositi e un fondo (sempre europeo) di risoluzione delle crisi bancarie - tenuto conto soprattutto della loro complessa problematica organizzativa. Il successo dell’intero progetto dipenderà, infatti, soprattutto dalle scelte fatte su risorse umane, competenze, strumenti e modelli operativi. Sulla spinta dell’emergenza, la problematica organizzativa rischia di non essere attentamente considerata. Con il rischio che possano prendere vita assetti organizzativi burocratici, non idonei a realizzare una vigilanza che sappia assicurare la stabilità sistemica in un contesto fortemente dinamico.

Nanut. Alla base della crisi, è bene sottolinearlo, c’è un’assunzione eccessiva di rischi. Che a volte sono scarsamente conosciuti (almeno per gli effetti indiretti) o sono gestiti in modo non efficiente. Questa situazione potrebbe ripetersi in assenza di nuove e più attente misure di vigilanza; perciò – a mio avviso – si deve guardare con favore all’introduzione di un meccanismo unico di vigilanza in capo alla Bce, in stretta cooperazione con le autorità di vigilanza locali, a partire da marzo 2014. È fondamentale – e questa è la posizione anche della nostra banca centrale – che gli intermediari si dotino di un efficace sistema di risk management. Riuscire a individuare, valutare e gestire i rischi significa aumentare le loro possibilità di sopravvivenza. Un sistema efficace di risk management può concorrere alla conservazione e alla crescita del valore dell’impresa: deve essere coerente con il risk appetite proprio degli shareholder, per rendere evidenti le discrasie tra il livello dei rischi desiderati e quelli acquisiti; e deve consentire di comprendere le conseguenze - economiche, finanziarie e patrimoniali - dei rischi assunti. Anche se è l’organo di governo aziendale a dovere assumere la responsabilità di stabilire gli obiettivi di rischio e a monitorarne il raggiungimento, è il chief risk officer a coordinare le unità e le persone incaricate della gestione, della valutazione e al controllo dei rischi effettivamente rilevanti. Questa figura è presente in ogni banca e compagnia di assicurazione, avendo un ruolo cruciale - direi strategico - nel successo (o insuccesso) delle imprese. Per questo motivo, la funzione di risk management deve avere un dimensionamento coerente; a questa devono essere assegnate risorse umane di alta qualità, e con competenze che non possono limitarsi a contenuti tecnico-quantitativi. Il successo dell’attività di risk management dipende certamente dall’adozione e dall'impiego di modelli solidi e dati accurati, ma è legato al livello di condivisione della filosofia di gestione del rischio nel cuore della cultura aziendale. In questo contesto, le risorse umane sono fondamentali, perché dovrebbero assumere il ruolo di agenti del cambiamento. Per banche e assicurazioni, ancor più di quanto non accada per le altre imprese, è necessario pensare ad aggiornare le conoscenze e le competenze delle persone già attive e di inserire nelle proprie organizzazioni personale con una preparazione superiore a quella che consente di raggiungere un corso di laurea in economia o in scienze statistiche. Ecco per quale motivo ribadisco che disporre di risorse umane preparate, flessibili, capaci di ragionare e non “chiuse” nel proprio silos di competenza possa diventare un fattore di vantaggio competitivo. Anche nella nuova prospettiva della vigilanza europea.

Tupone. Un primo sguardo alla normativa approvata lo scorso 12 dicembre dall’Ecofin consente di constatare come, nell’ambito della letterale «attribuzione di compiti specifici alla Bce in riferimento alle politiche in materia di vigilanza prudenziale sugli enti creditizi», si riscontri una forte ristrutturazione dell’architettura del sistema di vigilanza non privo di “bizantinismi” che in Europa era operativo dal 1° gennaio 2011. La struttura del sistema implementato sulla scorta del rapporto de Larosière prevedeva che le attività di supervisione ordinaria spettassero alle banche centrali nazionali, riservando invece all’Eba il compito di garantire l’armonizzazione delle regole e delle diverse misure di vigilanza attuate a livello nazionale. Le competenze attribuite ora alla Banca centrale europea (e menzionate negli articoli 4 e 4-bis del testo del Regolamento 17812/12 approvato a dicembre 2012 dal consiglio), decretano uno spostamento dei compiti di vigilanza dalle banche centrali nazionali alla Bce. E, soprattutto, un ripensamento del disegno istituzionale pur recentemente attuato con il Regolamento (Ue) n. 1093/2010, e del quale l’Eba avrebbe dovuto costituire il cuore per quanto riguarda la supervisione e il coordinamento delle politiche di vigilanza. L’attribuzione di poteri di vigilanza alla Bce trova fondamento giuridico nell’articolo 127, paragrafo 6, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue). Questa norma prevede espressamente la possibilità di investire la Bce di compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi. Ora, l’attribuzione di specifiche competenze alla Bce, tanto di vigilanza informativa e ispettiva, quanto regolamentare, dà luogo a un ribaltamento dei rapporti. Anche se, è necessario sottolinearlo, esclusivamente per quanto riguarda lo svolgimento dei compiti tassativamente elencati dagli articoli 4 e 4-bis. A fini operativi, l’attribuzione di funzioni alla Bce individuate in un elenco dettagliato, costituisce un punto di forza della nuova normativa che consente di superare l’architettura del sistema precedente. Un sistema che, pur molto recente, non si è dimostrato in grado di attuare le politiche di vigilanza necessarie a prevenire o gestire le crisi dei mercati finanziari. Nella nuova disciplina i compiti individuati dagli articoli 4 e 4-bis riguardano, appunto, l’area della vigilanza macroprudenziale e quella microprudenziale. Si noti inoltre che all’articolo 4, paragrafo 3, è prevista l’attribuzione alla Bce del potere di emanare linee guida, raccomandazioni e anche di adottare i regolamenti che risultino necessari a organizzare o specificare le modalità di adempimento dei compiti di vigilanza che le sono attribuiti. Insomma: rispetto al sistema precedente si cambia passo. E la svolta descritta dall’articolo 4 del regolamento 17812/12 e gli articoli 8 e seguenti del regolamento 1093/2010, dove i compiti dell’Eba erano inconsistenti se paragonati ai poteri di vigilanza ora attribuiti alla Bce.

Messori L’architettura della vigilanza europea come è ora delineata non suscita particolari preoccupazioni in termini di commistione fra politica monetaria e funzione di vigilanza in capo alla Bce. Questo mio convincimento non deriva tanto dai presidi di governance previsti per la Bce, che anzi appaiono un po’ farraginosi e che potrebbero portare conflittualità. Il punto è che la politica monetaria europea è fondata su regole così rigide da essere quasi impermeabile a distorsioni. Viceversa, sono preoccupanti le potenziali dinamiche conflittuali indotte dalla separazione, all’interno della Bce, tra un nuovo comitato di sorveglianza e il vecchio government council. Nel comitato c’è un rischio di contrapposizioni su base nazionale che può seriamente minacciare l’efficienza della cooperazione comunitaria. Sarebbe grave se queste contrapposizioni fossero importate nel government council.

Sabatini. Per assicurare la separazione tra le funzioni di politica monetaria e quelle di vigilanza, la proposta di regolamento prevede che la banca centrale debba creare un supervisory board distinto, a cui il consiglio direttivo della Bce - che rimane comunque il responsabile ultimo anche per le decisioni di vigilanza - potrà affidare quelle funzioni. In particolare, la proposta di regolamento prevede che il supervisory board sia composto da un presidente e da un vice a tempo pieno, designati dal consiglio su proposta della Bce, in consultazione con il parlamento europeo; da quattro rappresentanti del consiglio Bce; da un rappresentante per ciascuno stato membro del Ssm. Il supervisory board, che si avvarrà del lavoro di uno steering committee senza poteri decisionali, prenderà decisioni con il voto capitario tranne che per l’implementazione del single rulebook, per il quale è prevista la ponderazione dei voti. Dal punto di vista formale, le decisioni adottate dal supervisory board sono approvate solo se il consiglio della Bce non le impugna entro dieci giorni lavorativi. Se la decisone del supervisory board viene modificata dal consiglio Bce, gli stati membri non-Eurozona possono contestare per iscritto la decisione entro cinque giorni lavorativi. In questo caso il consiglio ha altri cinque giorni lavorativi per rivedere la propria decisione. Se lo stato membro non-Eurozona non è soddisfatto ha diritto a terminare la cooperazione con la Bce, e per tre anni non potrà riprenderla. Questa soluzione di compromesso è, a mio parere, adatta a garantire un’adeguata separazione funzionale tra le due attività e a garantire un’adeguata rappresentatività anche a quegli stati membri che, pur non facendo parte dell’Eurozona, desiderano partecipare all’unione bancaria. Esistono comunque ulteriori margini di miglioramento. Tra questi, potrebbe risultare efficace la separazione anche fisica delle strutture: la sede della divisione addetta alla vigilanza potrebbe essere trasferita lontano da Francoforte, per esempio a Roma. La proposta, che abbiamo avanzato come Abi - purtroppo senza successo - già nella fase di negoziazione della proposta di regolamento, presenta vantaggi che vanno al di là del mero prestigio per il nostro paese. Per l’Italia rappresenterebbe invece un importante riconoscimento della stabilità del proprio settore finanziario, potenzialmente in grado di influenzare positivamente il giudizio delle agenzie di rating.

Baravelli. Credo che si possa valutare positivamente il maggiore potere di cui la Bce si troverà a disporre per la stabilità finanziaria, affiancando alla gestione della politica monetaria i compiti e le responsabilità dell’attività di vigilanza prudenziale bancaria. La separazione tra le due funzioni, invece, è necessaria non tanto per evitare potenziali conflitti di interesse, quanto per rendere differenziati gli assetti organizzativi, coerentemente con le esigenze di specializzazione operativa. Anzi: la Bce può gestire in modo sinergico entrambe le funzioni grazie a un patrimonio informativo comune, e soprattutto disporre di una gamma più ampia di strumenti per prevenire le crisi sistemiche. Sono noti i limiti delle banche centrali nel contrastare le bolle finanziarie con il solo strumento del tasso di interesse. Ma ci sono altri aspetti rilevanti, come i cambiamenti che potrà subire il Cers - Comitato europeo per il rischio sistemico - visto che la responsabilità della vigilanza macro-strutturale è affidata alle Bce. Quanto alla vigilanza microprudenziale, è auspicabile che le prassi di controllo armonizzate non si limitino alle verifiche sull’adeguatezza patrimoniale, ma prevedano anche controlli sulla sana e prudente gestione dei profili, sia strategici sia organizzativi, come avviene da tempo nell’esperienza della vigilanza della Banca d’Italia. Queste verifiche contribuiscono in modo determinante all’identificazione dei possibili rischi di instabilità. La questione degli approcci della vigilanza richiama anche il problema della chiara ridefinizione del ruolo e dei poteri dell’Eba. Questa, autorità, infatti, si trova ampiamente svuotata di compiti, dato che la Bce potrà fissare requisiti patrimoniali più elevati rispetto a quelli minimi, si occuperà delle prove di stress e potrà emanare provvedimenti normativi quando lo riterrà necessario.

Conti. Il nuovo ruolo assegnato alla Bce può comportare il rischio di alimentare segmentazioni, sia nel settore bancario sia, più in generale, nell’industria dei servizi di investimento. Gli impatti sui mercati potrebbero infatti essere più invasivi rispetto alla pur imperfetta (ma al momento non problematica) separazione tra micro-supervision e funzione monetaria finora realizzata. Piuttosto, ritengo potenzialmente critici altri quattro profili: i rapporti tra paesi euro e non euro con riferimento alla supervisione bancaria; la ridefinizione dei ruoli tra Bce ed Eba; i rapporti tra l’Eurotower e i supervisori nazionali, per la vigilanza sui rispettivi sistemi bancari; le relazioni tra la Bce e le altre autorità europee che vigilano su intermediari e mercati (Esma ed Eiopa) e le corrispondenti autorità nazionali. Con l’affollamento di ruoli e competenze simili tra autorità nazionali ed europee si rischia di creare un eccesso disordinato di punti di riferimento per operatori e mercati e, in parallelo, di lasciare sguarniti aspetti cruciali per una vigilanza efficace sui fenomeni innovativi. Tutto questo è reso più complesso dalle trasversalità, tra operatori e mercati, che rendono sempre più difficile, non solo vigilare in modo efficace, ma anche cogliere le potenziali implicazioni sistemiche dei comportamenti degli operatori e delle innovazioni di prodotto in ambiti non ancora regolati o scarsamente vigilati. Il focus sul sistema bancario, per quanto indispensabile in questo momento, non consente da solo di cogliere e affrontare per tempo quanto accade nello shadow banking system; in questo ambito si stanno misurando i limiti della capacità delle autorità di produrre norme utili anche in presenza di mercati in rapida evoluzione ed eventualmente di supplire con interventi di vigilanza in grado di cogliere anche i segnali deboli del mercato.

Tupone. Per valutare adeguatamente il nuovo ruolo della Bce occorre considerare la precedente architettura del sistema che, anche dopo l’avvio dell’unione monetaria, presentava una chiara distinzione fra i soggetti incaricati della vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e il depositario dei poteri in materia di politica monetaria. Le competenze sulle funzioni di vigilanza per garantire la stabilità del sistema finanziario erano infatti attribuite alle banche centrali nazionali, mentre la Bce si occupava di politica monetaria, ed era praticamente priva di poteri di vigilanza. Questa distinzione non era stata intaccata con l’introduzione del sistema dell’Esfs e l’entrata in funzione delle tre autorità di vigilanza finanziaria europee: Eba, Esma ed Eiopa. L’unificazione di questi poteri costituisce dunque una vera novità. L’attribuzione alla Bce di funzioni monetarie e di vigilanza potrebbe, in linea di principio, determinare conflitti di interesse. Potrebbe accadere, per esempio, che per ragioni di politica monetaria sia necessario incrementare i tassi di interesse mentre, allo stesso tempo, un incremento dei tassi d’interesse sarebbe sconsigliabile per l’aumento del rischio di insolvenza. D’altra parte, anche per quanto riguarda gli obiettivi di controllo della stabilità dei prezzi, espressamente attribuiti al Sebc, alcuni studi che dimostrano che le banche centrali senza compiti di vigilanza garantiscono performance migliori nel contrasto all’inflazione rispetto alle banche centrali che questi poteri li hanno. Non solo: l’attribuzione delle funzioni monetarie e regolamentari alla stessa autorità è stata a volte osteggiata dalla dottrina. Per prevenire eventuali conflitti di interesse, l’articolo 18 del regolamento approvato prevede la «separazione dalla funzione di politica monetaria» dalla vigilanza sugli enti creditizi (dal punto di vista organizzativo, della struttura gerarchica e del personale che se ne occupa). E impone l’istituzione di un organo di mediazione composto da esperti, per risolvere le divergenze che si creano fra consiglio direttivo e consiglio di vigilanza.

D. Che cosa resterà delle banche centrali nazionali? Che autonomia avranno? Come cambieranno i loro rapporti con la Bce?

Messori. La principale preoccupazione riguarda l’efficacia del funzionamento di un sistema di controlli simile a quello dell’antitrust europeo, ma senza un corpo comune di regole altrettanto solido. Ciò rischia di vanificare la vigilanza unitaria, perché concede alle autorità nazionali un’autonomia eccessiva rispetto agli input forniti dalla Bce. Viceversa, non credo che si possa addebitare al processo di unione bancaria una responsabilità rispetto all’architettura complessiva di vigilanza sul mercato finanziario europeo. Né si può chiederle di dirimere la questione della separazione, nei gruppi bancari, tra le attività di investment banking e quelle più tradizionali di commercial banking. In altri termini, una separazione potrebbe regolamentare le sole attività tradizionali. Il che allargherebbe lo shadow banking, che già ora desta notevoli preoccupazioni per le sue dimensioni e per il ritmo di crescita.

Sabatini. L’accordo sul regolamento per l’attribuzione di poteri di vigilanza alla Bce è stato raggiunto sulla base della proposta di compromesso avanzata dalla delegazione italiana. Proposta che, in sintesi, prevede l’attribuzione di questa funzione all’istituto centrale, che lo eserciterà su tutte le banche. Insieme a questa, è stata introdotta la decentralizzazione, anche decisionale, della vigilanza sulle banche senza rilevanza sistemica (ma la Bce avrà, comunque, il potere di attribuirsi in qualsiasi momento la vigilanza diretta sui singoli istituti). In termini pratici, le banche di rilevanza sistemica sarebbero vigilate direttamente dalla Bce, mentre quelle che non hanno rilevanza sistemica continuerebbero a essere controllate direttamente dalle autorità nazionali, ma secondo l’approccio dell’istituto centrale e sotto sua responsabilità. Dalle prime analisi risulta che la Bce assumerà la responsabilità diretta sulla vigilanza di circa 150 gruppi bancari in Europa, rappresentativi di circa l’85% delle attività bancarie dell’area euro. Di questi, circa 15 saranno italiani. Entro il 1° luglio 2013 la Bce dovrà pubblicare il framework che regolerà i rapporti con le autorità nazionali nell’ambito del Ssm. Tuttavia, una volta che entrerà in vigore il regolamento, l’Eurotower potrà assumere la supervisione diretta delle banche che devono essere ricapitalizzate dal Fondo salvastati permanente, il Mes. L’Abi ritiene che la soluzione di affidare alla Bce il compito di definire il framework che regolerà il rapporto operativo con le autorità nazionali sia la soluzione più opportuna ed efficace.

Conti Il perimetro assegnato alla Bce fa riferimento a un approccio di attribuzione di compiti alle diverse autorità “per soggetti”. Il ruolo centrale che in questo scorcio di crisi stanno assumendo le aziende di credito giustifica questa attenzione e spiega l’efficacia dei risultati finora raggiunti in questo ambito. È però necessario capire con quali tempi e modi sarà possibile implementare un approccio per finalità, che si prospetta più efficace per monitorare, contrastare se necessario, le dinamiche del sistema finanziario ombra. La scelta di utilizzare un libro delle regole condiviso impone che le autorità nazionali abbiano un ruolo non secondario nella declinazione delle regole a livello nazionale e nel processo di convergenza degli approcci di vigilanza, non solo per evitare supervisory arbitrage, ma anche per prevenire possibili svantaggi competitivi tra i diversi paesi europei. È quindi importante che le autorità nazionali guidino le rispettive realtà verso standard condivisi a livello europeo. Perché ciò accada, è importante che ci sia un pieno coinvolgimento delle autorità europee e nazionali nella delicata fase di transizione, se si vuole evitare che le scelte continuino a essere dettate dalle emergenze quotidiane.

Baravelli. Riservare alla Bce non solo il controllo delle banche sistemiche, ma anche quello degli istituti con attivi superiori a 30 miliardi è un buon compromesso. Ma ritenere che la Bce sia responsabile del funzionamento del meccanismo di vigilanza unico e della prevenzione delle crisi sistemiche comporta, comunque, che Francoforte possa controllare e coordinare le autorità di controllo nazionali, a cui sarà riservato il compito delle verifiche dirette sul resto delle banche. La questione è delicata. Se da un lato si ritiene opportuno lasciare a livello locale margini di flessibilità, dall’altro la Bce deve poter monitorare l’azione delle strutture decentrate. Per evitare che, alla fine, emerga un sistema a due livelli dovuto a condotte opportunistiche e meno stringenti nei vari paesi. Che è poi il fenomeno che si vuole in realtà contrastare.

D. Ma quali enti saranno soggetti alla vigilanza della Bce?

Tupone. Gli enti creditizi (articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/48 Ce);· le società di partecipazione finanziaria (articolo 4, punto 19, della direttiva 2006/48 Ce); le società di partecipazione finanziaria mista (articolo 2, punto 15, della direttiva 2002/87 Ce); le succursali stabilite in stati membri partecipanti, di enti creditizi con casa madre in paesi membri non partecipanti.

Relativamente ai conglomerati finanziari è invece prevista all’articolo 4 (paragrafo 1, lettera j), la partecipazione della Bce alla vigilanza supplementare sugli enti creditizi che facciano parte del conglomerato. Ciò detto, non sembra plausibile ritenere che le banche centrali nazionali dismetteranno tout court i panni di regulator nazionali per vestire quelli più dimessi di “assistenti” della Bce, applicando invece rigorosamente gli ambiti (non esigui) di competenza che entrano nel loro raggio d’azione

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