Economia

L'Opec fa lo sgambetto a Draghi

La Bce alza le stime sull'inflazione, ma il Cartello non taglia la produzione. E il petrolio scivola

L'Opec fa lo sgambetto a Draghi

C'è un filo rosso, e ben visibile, che da tempo lega la Bce all'Opec: il petrolio a prezzi di saldo è infatti il principale innesco della deflazione. Caso ha voluto che ieri a Vienna, dove i Signori del petrolio tenevano un vertice nello storico quartier generale, fosse in programma anche una delle riunioni che la banca guidata da Mario Draghi gioca in trasferta. Ma al posto di una dolcissima Sacher-Torte, il Cartello ha servito al presidente dell'Eurotower un boccone abbastanza indigesto con la decisione di mantenere invariata la produzione a 32,5 milioni di barili al giorno. Niente tagli, nessun congelamento dell'output sui livelli di gennaio come era stato prospettato nel (defunto) piano di Doha, in una preservazione dello status quo che è frutto del braccio di ferro tra Arabia Saudita e Iran, appena tornato alla piena libertà estrattiva dopo la fine delle sanzioni. «L'evoluzione del mercato è positiva», ha spiegato il ministro del Petrolio venezuelano, Eulogio Del Pino, facendo riferimento alla recente ripresa delle quotazioni. Il problema è che il mercato non ha preso bene l'inazione: Brent e Wti sono scivolati subito, rispettivamente, dell'1,35 (a 49 dollari) e dell'1,55% (a 48,19 dollari).

È evidente che se il barile si dovesse avvitare nella stessa spirale che fece crollare i prezzi sotto i 30 dollari lo scorso febbraio, la missione della Bce si complicherebbe. Proprio ora che, «per riflettere i leggeri aumenti del prezzo del petrolio», le stime sull'inflazione 2016 sono state leggermente riviste al rialzo dallo 0,1 allo 0,2%. Il primo a non credere nella possibilità di vedere entro dicembre prezzi meno anemici è però proprio Draghi: «I tassi d'inflazione resteranno molto bassi o negativi nei prossimi mesi prima di riprendersi nella seconda meta» del 2016, per poi risalire l'anno prossimo all'1,3% e all'1,6% nel 2018. Un po' più vicino a quel target del 2% che pare più sfuggente di una saponetta bagnata. Non sarebbe forse il caso di rivederlo? No, ha spiegato l'ex governatore di Bankitalia, perché «minerebbe la nostra credibilità».

Ma non è solo il petrolio l'osservato speciale della Bce. C'è anche il pericolo Brexit («Siamo pronti a qualsiasi risultato, anche se rimanere nell'Unione europea fa bene alla Gran Bretagna e fa bene all'Europa») e una ripresa che stenta a decollare. Seppur la banca centrale abbia alzato le stime sulla crescita del Pil di quest'anno all'1,6% dal precedente +1,4 (invariate all'1,7% quelle del 2017, in calo da 1,8 a 1,7% quelle del 2018), Draghi ha spiegato che l'andamento tra aprile e giugno potrebbe essere più lento rispetto ai tre mesi precedenti. L'eurozona ha insomma ancora bisogno della stampella della Bce. I tassi rimarranno infatti «a questo livello, o più bassi, per un esteso periodo di tempo» e il quantitative easing durerà fino a marzo del prossimo anno, e comunque fino a quando la correzione dell'inflazione non sarà «significativa». L'istituto di Francoforte ha intanto dettagliato gli acquisti, a partire dal prossimo 8 giugno sul mercato primario e sul secondario, delle obbligazioni societarie: i bond dovranno avere il «bollino» dell'investment grade e una scadenza compresa tra un minimo di 6 mesi a un massimo di 30 anni. Poi, dal 22 giugno, scatteranno le nuove Tltro mirate al sostegno delle imprese.

Dalle aste di rifinanziamento della Bce resta invece ancora esclusa la Grecia: le banche elleniche non potranno quindi usare i sirtaki-bond come garanzia.

Prima di dare semaforo verde alla riammissione, l'Eurotower vuole che sulle riforme di Atene non sia rimasta una sola ombra.

Commenti