Economia

Moda italiana a gonfie vele E lo straniero fiuta l'affare

Le nostre aziende cariche di liquidità e pochi debiti Due carte vincenti per chi vuole diventare più forte

La moda italiana è ricca di liquidità, in crescita e con dimensioni tutto sommato modeste se confrontate ai colossi esteri, in particolare a quelle dei cugini francesi (Lvmh fattura da sola più delle prime 15 aziende italiane). In poche parole è una preda perfetta. È questo quanto traspare dallo studio dedicato al settore di R&S Mediobanca, effettuato sulla base dei bilanci fino al 2015 e presentato ieri in concomitanza con l'avvio delle sfilate di Milano.

I primi quindici brand per fatturato del fashion tricolore portano in dote 5,5 miliardi di cassa (la sola Armani 642 milioni e Max Mara un miliardo) hanno una liquidità ben superiore ai debiti (il rapporto è pari a 114,9 rispetto alle 36,6 volte delle prime 15 società francesi) e godono di una decisa solidità finanziaria (i debiti sono pari a un quinto circa il patrimonio netto, rispetto al 39,85 dei concorrenti francesi). Insomma, operazioni come il recente matrimonio tra Essilor e Luxottica potrebbero essere seguite da altri annunci di nozze. Già oggi delle 140 case di moda con vendite superiori ai 100 milioni prese in considerazione dallo studio di Piazzetta Cuccia, ben 49 sono controllate dall'estero (di cui 18 da Parigi). Gabriele Barbaresco, direttore dell'area studi di Mediobanca, ha preferito tuttavia evitare pronostici sulla possibilità che le aziende italiane finiscano nel mirino di gruppi industriali stranieri, piuttosto che fondi.

La moda italiana vale 62,6 miliardi di euro, pari al 4% del Pil (un punto percentuale in più rispetto al 2011) è trainata dall'export (che, da solo, vale 37,5 miliardi) ed è in espansione. Il fashion italiano infatti è complessivamente cresciuto nel 2015 del 9,4% e del 28,4% rispetto al 2011. L'incremento delle vendite ha portato inoltre tra il 2011 e il 2015 a 57mila dipendenti in più per l'intero settore che oggi dà lavoro a 327mila persone. Il recente miglioramento in termini di fatturato è tuttavia avvenuto a discapito della redditività: l'utile operativo si è attestato al 9% delle vendite rispetto al 10,1% del 2011, un livello che comunque è il doppio rispetto a quello registrato dal manifatturiero italiano (4,2% l'ebit).

In questo scenario le 15 case di moda di maggiore dimensione, che da sole valgono due punti percentuali del Pil italiano, hanno registrato nel 2015 vendite complessive per 30,3 miliardi (in aumento dell'8,9% rispetto al 2014 e del 30% nel quinquennio) e un utile operativo al 12% del fatturato (in calo tuttavia dal 13,7% di cinque anni prima). A livello di redditività, la vincitrice è Moncler con un utile operativo del 29,2% delle vendite, seguita da Ferragamo (18,8%), Luxottica (15,8%) e Armani (15,5%). Quanto alle vendite, regna incontrastata Luxottica con 8,8 miliardi di fatturato, seguita da Prada (3,5 miliardi) e Armani (2,6 miliardi).

Il brand tuttavia che, grazie all'incalzante ritmo di crescita, si aggiudica il titolo di «lepre» è stato senza dubbio Valentino (+102%). Continua invece la flessione di Benetton (-25,8%), l'unica tra le 15 maggiori società del fashion ad aver registrato un crollo delle vendite e un ebit margin in negativo (-5,7%).

Quanto al 2016, lo studio evidenzia l'«outlook» opaco registrato nelle semestrali finora pubblicate sia a livello di fatturato che di redditività.

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