Economia

Modelli di business a confronto

Modelli di business a confronto

A quattro anni dal fallimento della Lehman Brothers l'industria del risparmio deve fare i conti con una platea di risparmiatori che non si fida più di investire a occhi chiusi. Come sta rispondendo il mercato a questa richiesta di consulenza, prevista anche dalle nuove norme europee della Mifid Review? È stato l’interrogativo principale della tavola rotonda Il Business della consulenza finanziaria, organizzata da BancaFinanza. Al dibattito, coordinato da Angela Maria Scullica, direttore di BancaFinanza, e da Achille Perego, caposervizio economia e finanza di QN, hanno partecipato: Riccardo Ambrosetti, presidente di Ambrosetti sim; Cesare Armellini, presidente di Nafop; Roberto Ciasca, responsabile risparmio amministrato e finanza innovativa di Intesa Sanpaolo private banking; Luca Clementoni, amministratore di Galileo Finance; Alberto Cuccu, chief operating officer di ObjectWay financial software; Alberto D'Avenia, direttore distribuzione esterna Italia e Paesi Mediterranei di Bnp Paribas Investment Partners (Bnpp Ip); Angelo Lazzari, amministratore delegato di Arc asset management; Luca Mannucci, servizio gestioni patrimoniali di Mps; Giampaolo Nodari, amministratore delegato di J. Lamarck sim; Massimo Scolari, segretario generale di Ascosim. Ecco cosa è emerso.

Domanda. Quattro anni di crisi che impatto hanno avuto sulla consulenza finanziaria?

Armellini. La crisi si è rivelata indubbiamente un vantaggio per la consulenza indipendente. Del resto è scoppiata per i conflitti d'interesse scatenati dagli operatori tradizionali del settore finanziario. Questo ha permesso alla nostra nuova figura di poter captare sul mercato quella tipologia di clientela privata, aziendale e istituzionale colpita dalla crisi. In questi quattro anni abbiamo ottenuto risultati importanti. Ma c'è anche un aspetto negativo: la nostra categoria è stata come congelata. Auspichiamo che la situazione cambi nei prossimi mesi grazie anche all’azione di sensibilizzazione che stiamo sviluppando con le autorità.

Nodari. La crisi ha indubbiamente fatto emergere il ruolo fondamentale della consulenza finanziaria. Soprattutto per la nuova richiesta arrivata dall'investitore abituato prima alla classica consulenza allo sportello limitata al pescaggio ad hoc da una lista di strumenti raccomandati. Oggi l'investitore non si accontenta più di questa risposta. Quindi il ruolo della consulenza finanziaria si è estremamente rafforzato anche se ho dei dubbi su quello che le autorità stanno facendo per promuovere seriamente la consulenza finanziaria a partire dai suoi principali requisiti: indipendenza e conoscenza del cliente. Credo che la Mifid Review, consentendo di prestare il servizio di consulenza anche in conflitto di interesse - permettendo anche a chi colloca prodotti di prestare il servizio in modo, a mio avviso, non del tutto indipendente - renderà difficile agli investitori capire il reale valore aggiunto della consulenza.

D'Avenia. Dal punto di vista del partner fornitore di soluzioni di investimento che io rappresento, la distribuzione si è concentrata su un numero relativamente limitato di prodotti con perfomance costante nel tempo e in linea con la situazione di mercato. Hanno prevalso gli obbligazionari a ritorno assoluto e con distribuzione cedolare, spesso legati ad aree geografiche emergenti o a segmenti high yield proprio per rispondere all’esigenza di un rendimento periodico percepibile. La polarizzazione del mercato ha determinato una maggiore attenzione verso prodotti in grado di creare un’alfa sostenibile nel tempo o al contrario di intercettare un beta di mercato a costi contenuti. Nell’ultimo anno e mezzo, solo il 35% degli oltre 4mila fondi che operano in Italia ha registrato una raccolta positiva. E la metà di questa raccolta si è polarizzata attorno ad appena il 5% di tutti i fondi. Questo significa che uno dei trend che la consulenza ha dovuto soddisfare è la ricerca della sicurezza e la percezione “fisica” del rendimento. A dare l’input al cliente sono i nostri partner distributivi. Dal punto di vista del modello di servizio, dall’inizio della crisi abbiamo registrato una crescita della domanda di informazioni sui prodotti unitamente alla richiesta di concentrarci sulla comunicazione. Nel momento in cui il mercato ha detto di preferire la ricerca di sicurezza su prodotti garantiti o a coupon ci è stato chiesto di essere ancora più presenti sulle reti.

Ambrosetti. Da una parte la crisi rappresenta il momento ideale per la crescita degli outsider come Ambrosetti asset management in un sistema finanziario banco-centrico come quello domestico. Dall’altra, però, la proposizione di servizi di consulenza sconta due ordini di problemi. Il primo è lo scoglio normativo generato da disposizioni che non favoriscono il sano, robusto e rapido sviluppo della consulenza, una questione che deve risolvere il legislatore. Il secondo si riferisce più propriamente alla risposta del sistema bancario alla crisi . Il momento di gravi difficoltà provoca una difesa del business tramite la corsa frenetica verso nuove fonti di marginalità: una di queste è proprio la consulenza. Quindi molti player istituzionali propongono servizi a elevato contenuto tecnologico e basso costo, sfruttando risorse interne spesso poco esperte del tema, finendo così per rilasciare al risparmiatore indicazioni non sempre premianti. La scelta di esternalizzare la proposizione di contenuti a elevato valore aggiunto delegandone la realizzazione a player specializzati come le Sim di pura consulenza, d’altronde, si scontra con la necessità interna di riassorbire parte degli esuberi cumulati negli ultimi anni di crescita del sistema bancario. Noi sappiamo fare il nostro lavoro e andiamo avanti. Probabilmente è il risparmiatore che potrebbe modificare il sistema con un cambiamento che viene dal basso, ma anche il risparmiatore fa molta fatica a rivedere i suoi comportamenti.

D. L’introduzione della Mifid Review non ha creato le premesse per un contesto più favorevole alla consulenza?

Scolari. La risposta non è semplice. Se parliamo di normative, la Mifid adottata in sede europea è stata applicata con una certa differenza nei diversi contesti nazionali come è naturale che avvenga perché ogni paese rappresenta una storia a sé. L’Inghilterra ha una realtà finanziaria più evoluta. Sono presenti 28mila professionisti che fanno consulenza indipendente, i financial advisor. Il tema dell’indipendenza è stato fondante nel Regno Unito fin dalla regolamentazione applicata già dagli anni Ottanta. Il 1° gennaio 2013 cambierà ancora il quadro di riferimento spingendo la consulenza indipendente. All’advisor sarà infatti vietato percepire retrocessioni o pagamenti delle commissioni se non direttamente dal cliente. Un modello quindi fee only. Il cambiamento previsto in Inghilterra credo avrà un effetto di richiamo anche nel dibattito comunitario sulla revisione della Mifid proposta dalla Commissione europea nel 2011 e su cui faticosamente si sta cercando di arrivare a un accordo, perché l’Europa è divisa tra Nord e Sud anche sul fronte della consulenza. Ci sono infatti Paesi, non solo il Regno Unito ma anche l’Olanda, convinti della necessità di proibire retrocessioni e commissioni sui servizi finanziari. E altri, penso all’Italia o alla Francia, in cui istituzioni e associazioni hanno contrastato questa impostazione. Il nostro è un sistema prevalentemente fondato sul meccanismo della retrocessione che non si può smontare dall’oggi al domani.

D. Le autorità europee o italiane hanno aiutato lo sviluppo dell’advisory?

Scolari. La risposta di carattere generale è sì. Non dimentichiamo che prima della Mifid la consulenza non era considerata neanche un servizio finanziario regolamentato, nemmeno quella al servizio dell'investimento. Se quindi c'è stato un aiuto da parte delle autorità in questo senso, resta ancora molta strada da percorrere. Per esempio non è ancora stato avviato l'albo dei consulenti indipendenti. Un ritardo che ritengo inaccettabile. Sarebbe invece un segnale molto importante per dire che esiste una nuova figura professionale. L'idea di far fare consulenza finanziaria a società in forma di Sim, invece, ha determinato un numero limitato di attori per le barriere d'entrata rappresentate dai costi e dalla regolamentazione che rappresentano un ostacolo insormontabile per l'ingresso, per esempio, di giovani neolaureati che vogliano fare consulenza indipendente. Quindi credo che si debba trovare un equilibrio tra una consulenza di qualità regolamentata con soggetti qualificati senza però che questi soggetti (Sim, indipendenti, intermediari finanziari) siano gravati da un eccesso di costi e di oneri.

Ambrosetti. Vorrei ricordare, citando dati ufficiali, che in Italia operano circa 25 Sim autorizzate a svolgere esclusivamente attività di consulenza, mentre sono oltre 2000 le società comunitarie senza stabile organizzazione che possono svolgere analoga attività nel nostro Paese previa semplice comunicazione alle autorità italiane. Quindi un rapporto di quasi 10 a 1 tra player non residenti e residenti... Se aggiungiamo che non è previsto un obbligo per fondazioni, casse, enti, fondi pensioni di fruire di consulenza tramite soggetti regolamentati e residenti in Italia, si capisce che nel nostro paese oggi è difficile riscontrare comportamenti che favoriscano lo sviluppo della consulenza italiana.

D. Qual è la strategia delle grandi banche?

Ciasca. Negli ultimi tre anni la richiesta di sicurezza da parte degli investitori si è acuita ai massimi livelli. L’offerta degli istituti di credito e il rapporto banca-cliente è cambiato: siamo passati da una logica di prodotto alla logica di servizio. Come Intesa Sanpaolo private banking abbiamo trovato una forma massima di trasparenza nella partenza dell’advisory fee based, avviato circa due anni fa. In parallelo a questo nuovo modo di intendere il servizio offerto dal private banking, vorrei sottolineare due aspetti. Il primo riguarda la notevole diversificazione dell’offerta di prodotti e servizi che abbiamo sperimentato in questi anni: dal momento in cui è partita la banca private, c’è stato un ampliamento molto forte dell’universo investibile con un’architettura realmente aperta. Il secondo tema è l’aspetto normativo di Mifid compliant, che riguarda le modalità di pagamento delle commissioni di consulenza. Per il nostro cliente la fee di consulenza si applica al rapporto oggettivo di consulenza con l’esclusione di tutti i prodotti su cui la banca già percepisce altre forme di remunerazione. Per questo mi piace parlare di consulenza finanziaria sul portafoglio.

D'Avenia. L’industria si sta interrogando per capire quanto possa attecchire – soprattutto sul segmento private - un modello di servizio basato sulla percezione di fee esplicite da consulenza, ma non sembra per il momento prevalente. Così come non sembra rilevante per il momento la richiesta da parte del mercato di quote di fondi e Sicav con fee di gestione in linea con quelle riservate agli investitori istituzionali, ma aperte a una clientela private e retail. Sembrava fosse possibile un’evoluzione in questo senso. Però i modelli di business prevalenti prevedono una consulenza base Mifid compliant, o più evoluta sull’adeguatezza del portafoglio e sul singolo prodotto, che associa alla advisory la remunerazione diretta o indiretta da attività distributiva. Buona parte del sistema credo abbia deciso di andare avanti su questa strada in attesa di maggiore visibilità sull’evoluzione della Mifid Review.

Scolari. Come associazione abbiamo sottoposto questo tema alla Consob. Si è ipotizzato che le società di gestione offrano asset class dedicate all'utilizzo della consulenza. Ma il problema è che la consulenza non è una forma di distribuzione. Purtroppo parlando con molti colleghi che si occupano della gestione vedo che considerano i consulenti come un altro canale di distribuzione. Ma non è così.

Mannucci. Fin dal 2007 il gruppo Montepaschi ha adottato un’impostazione commerciale, organizzativa e operativa tesa a supportare un approccio di  consulenza per accrescere il grado di competenza e consapevolezza sulle scelte di investimento della clientela. Abbiamo investito in tecnologia e formazione, creato una piattaforma di servizi di consulenza, Mps Advice, per i nostri relationship manager, e varato progetti coraggiosi come deconsolidare le fabbriche prodotto. Decisioni che vanno nella direzione di rendere la distribuzione sempre più indipendente dalla produzione. A oggi abbiamo circa il 25% degli asset dei nostri clienti gestiti con la piattaforma Advice. La crisi è stata il banco di prova della solidità di questa scelta. I clienti, che fin dal primo momento hanno condiviso questo approccio, hanno potuto apprezzare il vantaggio di avere portafogli diversificati che sono riusciti a contenere meglio gli effetti negativi delle fasi di ribasso dei mercati e a dare maggiori soddisfazioni in quelle di rialzo che hanno caratterizzato il 2012. Fare consulenza non significa solo saper individuare l’asset allocation più opportuna in base al grado di rischio/orizzonte temporale o individuare gli strumenti migliori con cui implementare tale strategia, ma anche gestire l’emotività del cliente e aiutarlo a evitare scelte irrazionali nei momenti più difficili. Oggi più che mai lo sviluppo dei servizi di consulenza e di investimento costituisce un aspetto rilevante delle strategie concorrenziali delle banche. In particolare Mps sta investendo nelle Gpa top, gestioni patrimoniali con il preventivo assenso che hanno come target la clientela con una bassa propensione alla delega e che vuole condividere le scelte di investimento con un professionista. Dopo aver individuato la strategia di investimento il cliente con il supporto del consulente può scegliere tra 230 fondi (ma anche titoli) che rappresentano il best of breed, i migliori di ciascuna categoria. In questo modo, la banca, a fronte di una commissione, fornisce al cliente una serie di vantaggi come il valore aggiunto della consulenza, l’efficientamento fiscale e la possibilità di accedere ai migliori fondi presenti sul mercato pagandoli meno di quanto farebbe con l’acquisto diretto (in quanto parte delle commissioni vengono retrocesse al cliente). Inoltre, il cliente ottiene un controllo automatico di coerenza nel tempo dei suoi investimenti, essendo il portafoglio inserito nella piattaforma advice.

Clementoni. Uno degli obiettivi principali della consulenza è quello di aumentare il grado di cultura finanziaria nel pubblico. La mancanza di conoscenza può portare a considerare tutti i prodotti come troppo rischiosi, mentre un maggior grado di conoscenza sui prodotti e sui mercati finanziari, in generale, aiuta l’assunzione di rischio da parte del cliente finale. Per quanto riguarda invece l’aspetto normativo è auspicabile una omogenizzazione a livello comunitario, seguendo lo spirito della Mifid Review, anche per evitare una cannibalizzazione del mercato italiano da parte estera. Ma è auspicabile anche una maggiore collaborazione tra i vari operatori finanziari. Io immagino una consulenza indipendente che esamini un numero elevato di prodotti, implementata da distributori che offrano un’ampia gamma di possibilità di investimento. Il regolatore dovrebbe favorire la crescita dei modelli di business. E perché il business della consulenza sia redditizio bisogna creare le basi a livello comunitario, rendere possibile l’ingresso senza costi e senza barriere troppo elevati. La regolamentazione del settore serve perché eleva il grado di professionalità sul mercato, ma un eccesso di regole può produrre effetti distorsivi.

Lazzari. La nostra è una società di gestione del risparmio. Quindi potremmo dire che siamo autoconsulenti. Fatta questa premessa mi chiedo che consulenza si può dare a chi ha 50 o 100mila euro da investire. Scelti quattro o cinque fondi il lavoro è finito, essendo i fondi a loro volta già ben diversificati e talvolta anche ben gestiti. La consulenza, invece, ha un altro ruolo per portafogli da 10 o 20 milioni di euro. In questo caso vedo una consulenza globale per il cliente, non solo finanziaria ma anche immobiliare, corporate e per la gestione della liquidità e della finanziabilità dell’impresa. In questo senso collaboriamo con sim di consulenza proprio per la gestione della liquidità per non creare conflitti d’interesse con il cliente. Il consulente serve per individuare l’asset allocation e gestire l’emotività. Quindi penso sia una figura importante, un po’ come il medico di base che interfaccia il cliente e lo indirizza allo specialista.

D. In questi ultimi due anni, come è cambiata la richiesta, da parte di banche e di società di consulenza di piattaforme informatiche finanziarie?

Cuccu. Essendo noi fornitori di sistemi informativi anche per la consulenza finanziaria abbiamo interfacciato in questi anni un po’ tutte le fasce di mercato. È vero che si parla di consulenza a tutti i livelli ma in realtà dal retail al mondo private i processi sono fortemente differenziati. Se ci si rivolge alla clientela di fascia bassa l’approccio è prettamente normativo. Ovvero quello di essere sicuri di proporre al cliente un portafoglio in linea con il suo profilo di rischio e quindi di non collocare prodotti non adeguati. In pratica l’obiettivo è servire il cliente in tempi brevi avendo la garanzia di non aver fatto qualcosa contro il cliente. Se passiamo a una fascia di clientela più evoluta, top affluent, con portafogli di qualche centinaio di migliaia di euro, la richiesta riguarda sistemi capaci di ottimizzare la gestione. Ma il software deve consentire anche di servire il cliente con livello di qualità più alto ma riuscendo comunque a ottimizzare il tempo che gli viene dedicato. Se il portafoglio non è troppo grande e, in termini di tempo, si spende troppo per occuparsi del cliente, il business della consulenza non è più redditizio. Mi riferisco a una consulenza fornita non al cliente private da 10 o 20 milioni di euro ma a centinaia di migliaia di clienti. Una consulenza fatta anche personalmente in filiale ma alla quale non si può dedicare più di un quarto d’ora a testa perché quasi sempre non si riesce a farsi pagare una fee per questo servizio. Le banche ci chiedono strumenti informatici in grado di servire il cliente con qualità sempre più alta ma con tempi compatibili con il numero di persone dedicate alla consulenza. Il software, quindi, si dimostra utile nel trasmettere in periferia le logiche stabilite a livello centrale come i singoli portafogli per fasce di rischio e i prodotti ritenuti migliori.

D. Qual è quindi oggi il vero ruolo del consulente indipendente?

Armellini. Il primo lavoro di un consulente indipendente è quello di svolgere una perizia tecnica sugli strumenti finanziari in possesso del cliente distinguendo tra quelli efficienti e quelli inefficienti. Ma, mi chiedo, come può un consulente monomandatario o un intermediario firmare una perizia dove giudica inefficiente un suo prodotto? Il secondo lavoro del consulente indipendente riguarda la riduzione di tutti i costi a carico del cliente: dalle commissioni d’ingresso e sulla compravendita di titoli agli spread sui mutui. E anche in questo caso mi domando come può un operatore tradizionale autoridursi le proprie commissioni o addirittura consigliare il cliente di spostare una parte del patrimonio su intermediari migliori per redditività e con costi più contenuti? Per questo credo che solo un consulente indipendente possa svolgere questo tipo di attività. Manca, poi, anche la trasparenza informativa. Anzi, direi che l’informazione, mi riferisco per esempio ai prodotti strutturati, è addirittura peggiorata. Il risparmiatore del resto non legge il prospetto informativo che serve più al consulente. Quanto al fatto che al piccolo cliente non serva la consulenza rispondo che facendo consulenza da 11 anni a tutte le tipologie di clienti, è vero il contrario. E non solo per l’aspetto degli investimenti finanziari, ma anche per la pianificazione assicurativa e previdenziale.

D. Il mondo distributivo come si sta adeguando alle esigenze di consulenza, anche della fascia più bassa di clientela?

D’Avenia. La sfida rimane l’incremento della capacita di approcciarsi al risparmiatore come fosse nello stesso momento tanti clienti con obiettivi, scadenze temporali e tolleranze alla volatilità diversi. Voglio dire che, alla fine, prevale un modello dove la parte di consulenza viene assolta con la tradizionale indagine degli obiettivi di investimento per individuare la categoria di profilo di rischio di ciascun cliente. E anche quando si tratta di consulenza più evoluta per portafogli più grandi, si tende a restare comunque su due o tre idee investimento. C’è spazio per crescere, da questo punto di vista, su tutte le fasce di clientela.

Nodari. Riflettiamo per un attimo sul messaggio che giunge al risparmiatore. Se mi presento come consulente indipendente il mio lavoro viene apprezzato ma poi il cliente, probabilmente, preferirà il servizio erogato dalla sua banca che non gli presenterà una parcella, ma anzi, accrediterà sul suo conto delle retrocessioni. Mi sembra che su questo tema si faccia ancora un’enorme confusione. Ritengo dunque che oltre all’indipendenza, alla trasparenza e alla semplificazione, sia necessario creare una figura completamente slegata dalle logiche commerciali dove non vi sia una consulenza che poi sfocia nel collocamento di un prodotto.

Ambrosetti. Personalmente non sono a favore degli albi professionali. Mi sembra di tornare al tempo degli scalpellini del Rinascimento... Ma quali albi non hanno una normativa che li sponsorizza? Se sono un medico non iscritto all’albo non posso fare una ricetta. Se sono un architetto non posso firmare un progetto. Non riesco a capire allora perché il legislatore non prevede che un ente, un Comune, una Provincia possa avvalersi della consulenza esclusivamente di coloro i quali facciano parte di un albo. Il legislatore deve decidere se è vero che la consulenza, come dice la Mifid, è la cosa più importante e va tutelata. Se è così, allora istituisca l’albo e decida chi è dentro e chi è fuori.

Scolari. Non capisco le banche che vogliono fare consulenza e poi non hanno tempo. Non si è obbligati dal dottore a fare consulenza. La consulenza è parlare con il cliente. Il cliente va incontrato e si deve creare un rapporto di fiducia, di conoscenza, di forte condivisione. Certo, poi capisco che il sistema possa assumere aspetti di automazione, ma non si può pensare che la consulenza sia una riedizione, con un’altra etichetta formale, della gestione patrimoniale.

D. Le banche come possono diversificare, per fasce di clienti, la consulenza?

Mannucci. Come banca crediamo che la consulenza non possa essere destinata solo all’1-2% della clientela, ma sia un servizio al quale tutti possano accedere. È chiaro che il modello di servizio sarà differenziato: si parte da una consulenza di tipo industrializzato per arrivare a un approccio olistico verso la clientela più sofisticata che prevede la risposta, attraverso una gamma di offerta più vasta, a bisogni assicurativi (protezione e previdenza), fiscali e alla gestione del passaggio generazionale. Per quanto riguarda la remunerazione, oggi è considerato normale pagare uno specialista per un consulto medico, un avvocato o un commercialista. Ma il risparmiatore medio italiano non è ancora abituato all’idea di pagare per una consulenza finanziaria come invece normalmente avviene in altri Paesi europei. La sfida è allora quella di far capire ai clienti il valore della consulenza e quando questo sarà percepito pagare l’advisory diventerà normale.

Ciasca. Credo che il nostro core business sia quello di costruire un ponte di fiducia tra la banca e l’investitore e il tempo è una delle chiavi di volta, oltre alla qualità del servizio. Il secondo aspetto che vorrei sottolineare è la dinamica del mercato. In base al mio angolo di visuale sono i clienti multi bancarizzati il fattore tipico delle private banking italiane o estere. E questo produce una concorrenza implicita all’interno. Ritengo quindi che una parte importante dello sviluppo futuro del settore si giocherà proprio sulla consulenza finanziaria. La personalizzazione nella costruzione del portafoglio del resto è una delle caratterizzazioni dell’articolo del Testo unico della finanza che regola l’attività di consulenza. È su questo che dobbiamo ragionare.

Clementoni.

Credo che così come l’evoluzione in corso in altre categorie professionali abbia portato a nuove tipologie di remunerazione (basta pensare all’avvocato pagato solo se vince la causa o all’architetto retribuito sul valore della costruzione), anche la consulenza finanziaria, che come abbiamo visto è molto diversificata in rapporto al cliente (istituzionale, retail, private) a cui si rivolge, debba prevedere sistemi di remunerazione commisurati e modulati in funzione del modello di business.

 

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