Economia

Monti vuole rottamare i "suoi" salotti buoni

Parlando a Piazza Affari Monti ha voluto "smarcarsi" dal mondo della finanza e delle banche. Fa il premier anti Casta: "Belle le crociate contro i privilegi"

Monti vuole rottamare  i "suoi" salotti buoni

Uno dei concetti che Mario Monti teneva a chiarire ieri, tornato a Milano da premier per parlare alla comunità finanziaria riunita nel palazzo simbolo di Piazza Affari, era quello della «deferenza - a torto o a ragione attribuita a questo governo - verso il mondo della banche e della finanza». Come un sassolino da togliere il tema dà fastidio. E Monti lo ha affrontato di petto ricordando che una delle prime mosse del suo esecutivo è stato l’articolo 36 del decreto salva Italia sull’incompatibilità di cumulo di incarichi in società finanziarie concorrenti. «Ci rendiamo conto - ha detto - così facendo, di andare contro la nozione elegante di salotto buono». Frase criptica per i più, ma ben presto arricchita fino a rendere inequivocabile il bersaglio finale: il salotto per eccellenza, quello di Mediobanca. Che, ha detto Monti, «pensiamo abbia tutelato il bene esistente e abbia consentito la sopravvivenza un po’ forzata dell’italianità di alcune aziende, non sempre facendo l’interesse di lungo periodo».

«Che ingrato», avrà pensato qualcuno dei presenti. Perché Monti, rispetto a quel salotto, non è così estraneo come potrebbe sembrare. Basti ricordare la sua presenza nel cda della Banca Commerciale Italiana per 12 anni (di cui due, dal ’88 al ’90, come vicepresidente): era quella la Comit che garantiva a Mediobanca (insieme con il Credito Italiano e la Banca di Roma) la raccolta, tramite il collocamento delle sue obbligazioni. E non a caso il rapporto molto stretto era quello con Francesco Cingano, presidente della Comit e poi di Mediobanca, banchiere in assoluta sintonia con Enrico Cuccia. In quel periodo Monti è stato anche nel prestigioso comitato tecnico del centro studi R&S di Piazzetta Cuccia. Mentre sedeva, tra l’altro, anche nei cda delle Generali, della Fiat e della Rizzoli, ancorché come consigliere non nominato da Mediobanca, ma che in tutte queste esercitava (e ancora esercita, Fiat esclusa) un’influenza determinante.
Ma il tempo passa. Il professore è poi andato a Bruxelles distinguendosi come sceriffo mondiale dell’Antitrust. E ora, al vertice del governo, ha il compito di avviare il profondo rinnovamento del Paese. Per questo anche i poteri forti, che certo Monti ha avuto modo di conoscere da vicino, non possono sperare di farla franca di fronte alla figura (e all’immagine) del grande riformatore del sistema italiano. Così Monti ha fatto ieri riferimento a un concetto che ben conoscono i dottori in economia: la «distruzione creatrice schumpeteriana», ossia quel processo che secondo l’economista austriaco Joseph Schumpeter sta alla base dello sviluppo ogni qualvolta le innovazioni spingono il mercato a fare piazza pulita dei soggetti arretrati aprendo la strada a periodi di grande crescita. Ebbene, il sistema conservatore di Mediobanca avrebbe impedito la «distruzione creatrice», danneggiando, in ultima istanza, l’intero sistema economico. Vero? Falso? Dipende se si considera interesse nazionale avere ancora aziende come Fiat e non averne più (nonostante Mediobanca) come Olivetti o Montedison. Ma questa è un’altra storia.

Quello che balza all’occhio dell’attacco di Monti al salotto buono è la ferma determinazione a non proteggere nessuna posizione precostituita. Con l’asse Monti-Catricalà-Passera pronto a supportare eventuali nuove iniziative.

Il che, con una Mediobanca impegnata in partite quali il riassetto Fonsai a fronte della sfida di Arpe e Palladio, la difesa di Impregilo dai piani del gruppo Salini o le eventuali ricapitalizzazioni di Rcs e Generali, può essere un messaggio chiaro che il governo sarà attento a tutte le soluzioni alternative.
Twitter: @emmezak

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