Economia

Netflix, in arrivo il diktat europeo

La Commissione vuole imporre l'obbligo di produrre nel vecchio continente almeno il 20% di programmi e serie tv

Rodolfo Parietti

Dal Frank Underwood di House of Cards all'onorevole Franco Sottobosco, che già dal nome prefigura un «plot» davvero intrigante per una serie tv. Senza stelle e strisce. Tutta made in Italy. Già, perchè è questo il destino cui potrebbe andare incontro Netflix, ma anche tutti gli altri colossi del video-streaming come per esempio Amazon Fire Tv, se ciò che bolle in pentola a Bruxelles sarà poi servito in un piatto che rischia di risultare indigesto.

Il Financial Times ha messo il naso nelle segrete carte della Commissione Ue, e ha scoperto che gli eurocrati stanno pensando di imporre alle corporation Usa di dedicare il 20% del loro catalogo alle produzioni europee, una quota che è la metà rispetto a quanto già previsto dalla normativa francese. Parigi è da tempo sulle barricate, a difesa di tutto ciò che è patrimonio culturale nazionale, contro il dilagante proliferare di film e telefilm dal dna totalmente extra-europeo e, soprattutto, contro tutto ciò che ha lo sgradevole odore della colonizzazione.

Proprio il pressing asfissiante dei francesi, è la molla che sta accelerando la messa a punto dell'inedito regime regolatorio, con i primi passi che potrebbero essere compiuti la prossima settimana. Se passerà, il nuovo orientamento metterà le tv on demand sullo stesso piano delle reti tradizionali. Un principio elementare di equità. E non solo. Il piano Ue prevede che Netflix e Amazon saranno obbligate ad assicurare «prominenza» ai prodotti europei, potenzialmente forzandoli a rimpiazzare con film europei quello spazio di valore sulle loro homepage oggi occupato dai blockbuster hollywoodiani.

Un nuovo modello verso cui guardano con interesse due player come Mediaset e Vivendi, pronti a varare una piattaforma comune per la produzione di contenuti.

Una battaglia di retroguardia, quella Ue, in un'epoca di globalizzazione e di abbattimento di (quasi) tutti gli steccati commerciali? C'è chi potrebbe pensarlo, ma l'obbligo di produrre ricchezza in loco, in quel mercato da cui si ricavano lauti ricavi, non sembra poi un'idea così disprezzabile. E così neppure la salvaguardia dell'industria dell'entertainment europea. D'altra parte, giusto per fare un esempio, anche la Lega Calcio ha posto dei limiti all'esterofilia imperante di certe squadre, che a partire dal prossimo campionato dovranno avere una rosa composta da 25 giocatori, di cui 4 cresciuti in Italia e 4 cresciuti nel vivaio del club per cui sono stati tesserati.

Piuttosto, serve capire quali effetti potranno sortire i paletti comunitari. Netflix, che ha all'attivo una produzione tutta europea come la serie francese «Marseille», ha già messo le mani avanti: una simile scelta creerebbe un perverso incentivo all'acquisto di prodotti economici, ed interferirebbe con l'approccio personalizzato che offrono i video on demand. Gli analisti del settore temono invece che, in assenza di una chiara definizione dei «contenuti europei», gli effetti saranno praticamente irrilevanti.

Una cosa sarebbe infatti decidere che per rispettare le regole è sufficiente una piccola percentuale di produzione realizzata in uno dei Paesi del Vecchio continente; altro sarebbe, invece, se gran parte del contenuto finale dovrà essere stato generato in Europa.

Commenti