Economia

"Al Paese servono i moderati, riformisti ma non anti Europa"

Il presidente di Confindustria dà consigli per la crescita: "Indispensabile il contributo di Tajani e di Forza Italia"

"Al Paese servono i moderati, riformisti ma non anti Europa"

Presidente Vincenzo Boccia, dopo gli alterni rapporti tra industriali e nuovo governo, come stanno le cose adesso?

«Il rapporto è partito male, con il decreto dignità, che non mette e non toglie, ma di fronte al quale noi ci eravamo limitati a chiedere di elevare la causale da 12 a 24 mesi, per evitare l'esplosione del turn over a tempo determinato, ma niente, non siamo stati ascoltati. Poi i toni si sono alzati e su Confindustria c'è stata una levata di scudi, fino a un appello via tweet lanciato ai cittadini per chiedere loro aiuto contro gli attacchi di Confindustria».

Gli imprenditori hanno addirittura pensato di andare in piazza. E poi?

«Poi c'è stata l'intervista di Salvini al Sole (quotidiano di Confindustria, ndr) in cui il vicepremier ha dato assicurazioni su tutti i temi economici. Poi confermate anche da Di Maio. Di fronte a questo è cambiato qualcosa. E poi è arrivato l'ok all'Ilva e abbiamo percepito che c'era una attenzione anche alle ragioni dell'economia reale. Ora aspettiamo la manovra».

Cosa chiedete alla manovra?

«In generale chiediamo che all'interno di un quadro di obiettivi di categoria già noti, come flat tax, pensioni, reddito di cittadinanza, ci sia la volontà di pensare alla crescita».

In particolare?

«Cinque cose. La prima sono i pagamenti dei debiti della Pa verso le imprese, da affrontare anche con la cartolarizzazione, a costo zero. Seconda: elevare il fondo di garanzia per le imprese, oggi di 2,5 milioni cadauna, a 5: operazione che, essendo una garanzia, nel primo anno non ha costi e poi ne avrebbe pochi, ma aiuterebbe il 60% delle imprese che sono in transizione per le regole di Basilea 3 di superare le difficoltà».

Le altre tre?

«Terzo punto: riformare il codice degli appalti, in modo da dare alle infrastrutture tempi certi e veloci. Sarebbe importante perché se al piano Industria 4.0 si aggiungessero le infrastrutture, calcoliamo un incremento annuo del 30% degli investimenti privati. Quarto, la produttività: elevare la detassazione dei premi di produzione, da 4mila euro per chi ha redditi fino a 40mila, a 6mila per redditi fino a 100mila, in modo da ampliare la misura ai quadri. Infine, servirebbe una rateizzazione a 10 anni dei debiti fiscali per le imprese in difficoltà, che così potrebbero evitare le procedure concorsuali. Tutti questi provvedimenti sono di ampio respiro, non di categoria, hanno costi contenuti e sono complementari e non antitetici ai fini che il governo si è dato con il contratto».

Sembra che la Lega debba recuperare il rapporto elettorale con molti imprenditori del Nord, rimasti delusi. È così?

«In tutte le Regioni del Nord noi abbiamo ottimi e storici rapporti con la Lega, che in tante di queste era già al governo. Questo fatto ha forse portato la Lega a dare per scontato l'asse con gli imprenditori. Poi è arrivato il decreto dignità e quello che abbiamo ricordato. Ora ci sarebbero tutte le condizioni per ripartire».

Ma forse è anche merito della componente moderata del centrodestra, fuori dal governo, che vi ha sempre sostenuto. Forza Italia, con Tajani in prima linea, si è speso molto: lei pensa che il contributo di questa componente sia necessario in futuro per la crescita e il benessere del Paese?

«Intanto voglio dire che in Italia sono necessari partiti politici che non pensino solo alle elezioni, ma al futuro del Paese. Quanto poi a Tajani, voglio ricordare che è colui che ha portato in Italia la Direttiva Late Payment quando non era facile e da Commissario Ue ha sempre posto la questione industriale italiana al centro del dibattito. Il suo partito rappresenta una componente riformista europeista indispensabile. Dopodiché è anche vero che non siamo sempre andati d'accordo, ma è vero che un Paese come il nostro ha oggi bisogno estremo di una componente moderata che guardi all'Italia da costruire nei prossimi anni».

Veniamo al sistema Confindustria: è vero che Di Maio vuole far uscire Eni, Enel e le altre pubbliche da Confindustria?

«Non lo so, ma sarebbe opportuno suggerire a un governo che chiede il cambiamento di accettare il confronto con chi lo critica, non si può solo minacciare di togliere la pubblicità ai giornali o indebolire i corpi intermedi. Consiglierei di darsi una calmata. In ogni caso ricordo che dalle società pubbliche dipendono solo il 2% dei voti e il 4% dei contributi di Confindustria: chi pensa che farle uscire indebolisca Confindustria sbaglia i suoi conti».

Da ultimo, l'editoria. Lei controlla il Sole 24 Ore, dove avete appena cambiato il vertice aziendale e il direttore. Il Sole soffre, come il resto della carta stampata, una crisi durissima: come se ne esce?

«Crediamo che la legge sul copyright sia importante, perché sancisce la titolarità dei contenuti. Nel futuro dell'editoria bisognerà separare bene l'informazione, sempre più on line, dalle opinioni. Queste, come la componente di servizio, devono poter stare sulla carta. Quanto al Sole, l'attuale consiglio deve da un lato mettere in sicurezza i conti, dall'altro fare prodotti forti e coerenti con la missione editoriale prevista dallo statuto del Sole. Poi c'è che io di mestiere faccio lo stampatore e dunque dichiaro il mio conflitto d'interessi.

Ma penso che un mondo senza giornali di carta che è lo strumento che invita alla riflessione, al pensiero, al progetto sia come stare senza opposizione politica o corpi intermedi: un mondo dove il senso e la coscienza civica vengono meno».

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