Economia

Pensioni e Irpef: fatti i conti senza Padoan

I regali elettorali del premier irritano il Tesoro: mancano le coperture

Pensioni e Irpef: fatti i conti senza Padoan

Roma - «Non siamo di fronte a un testo che si possa valutare, ci sono logo e titolo prima ancora della proposta». Per una volta il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, non ha tutti i torti. Il governo di Matteo Renzi ha fatto sapere che l'Ape (l'anticipo pensionistico) entrerà in vigore l'anno prossimo per consentire ai nati tra il '51 e il '53 di uscire dal mondo del lavoro, ma non si sa né come funzionerà né quanto costerà. Si sa solo, bontà del superconsulente Yoram Gutgeld, che è previsto il prestito pensionistico, cioè un finanziamento per cassa da parte del sistema bancario. Circostanza che non piace al sindacato e alla sinistra Pd che, tra l'altro, rivendicano la possibilità di pensionarsi prima del previsto anche per chi l'anno prossimo compirà 62 anni.

Però, diciamolo, alla vigilia di un'importante tornata di elezioni amministrative e di un referendum sulle riforme costituzionali che Renzi ha trasformato in un'ordalia, sapere che si potrà lasciare il lavoro prima è consolante e potrebbe indirizzare altrimenti le preferenze. Lo stesso dicasi per la prospettata ipotesi di limare di un punto percentuale le aliquote Irpef intermedie del 27 e del 38 per cento. Sono quelle che paghiamo tutti, il premier vorrebbe ridurle almeno di un punto percentuale. La manovra costa tre miliardi circa, recuperabili rimandando il taglio di tre punti dell'Ires per le imprese che è già spesato. Ma, a parte il non mantenere una promessa (che ormai non fa più notizia), risalta molto l'effetto risibile della misura che produrrebbe un aumento di reddito medio intorno ai 50 euro in quanto applicato a una vasta platea. Tale circostanza che ieri ha incoraggiato il ministro dell'economia, Pier Carlo Padoan, a ripetere che «non bisogna prendere misure fuori contesto» e che «bisogna trovare le compatibilità di bilancio». Insomma, nessuna mossa affrettata che possa irritare Bruxelles. C'è andato giù pesante anche il viceministro dell'Economia, Enrico Zanetti. «È una proposta buona solo per buttare via 3 miliardi assai meglio utilizzabili», ha chiosato il leader di Scelta Civica.

La Stabilità 2017 non esiste ancora, ma fa già acqua da tutte le parti. La triste realtà è questa. Se fosse per il primo ministro, ridurrebbe immediatamente le aliquote a due come da programma elettorale del Pd (o come da proposta dello stesso Zanetti che vorrebbe eliminare proprio quelle del 38 e del 41%), ma il costo sarebbe molto alto: 45 miliardi. Bisogna, infatti, trovare 15 miliardi per sterilizzare l'aumento di Iva e accise, ma il presidente del Consiglio sembra pensare ad altro.
Il suo catalogo dei sogni, infatti, è molto variegato. Innanzitutto, ci sarebbe da riconfermare - almeno parzialmente - gli sgravi sulle nuove assunzioni che rappresentano l'unico e vero motore per la creazione di nuovi posti di lavoro. Allo stesso modo, la contiguità con l'amministratore delegato di Fca, Sergio Marchionne, imporrebbe un'istituzionalizzazione del modello Fiat accelerando verso la contrattazione aziendale. Ma la legge sulla rappresentanza tanto attesa è ferma al palo anche perché servirebbe, per farla digerire al sindacato, una certezza sulla detassazione dei premi di produzione, reintrodotta con la Stabilità 2016 ma sulla cui durata non si può mai essere sicuri al 100 per cento. Problemi di sostenibilità anche per eventuali sgravi Irpef per le famiglie con figli sotto forma di aumento delle detrazioni. Idem con patate per l'estensione del (e ampliamento) del bonus da 80 euro anche ai pensionati.

Con tanti fronti aperti la confusione è scontata.

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