Economia

Petrolio, l'Opec fa autogol e i prezzi crollano del 6%

Il Cartello abbassa le stime sulla domanda mondiale e ammette che c'è un problema di surplus dell'offerta

Petrolio, l'Opec fa autogol  e i prezzi crollano del 6%

«Riad, abbiamo un problema». E quel problema si chiama surplus di offerta, un fenomeno certificato ieri dall'Opec nelle ultime stime sulla domanda globale di petrolio. I mercati ne hanno subito preso atto, schiacciando verso il basso le quotazioni: a New York il Wti è crollato del 6,5% poco sopra i 56 dollari, mentre a Londra il Brent è scivolato del 6,2% a quota 65,75 dollari. La reazione è da manuale, visto che solo fino a poche settimane fa nelle sale operative si temeva una carenza di forniture provocata dalle sanzioni Usa all'Iran. Le previsioni del Cartello mostrano invece uno scenario opposto, in cui la richiesta mondiale di greggio crescerà di 1,29 milioni di barili al giorno nel 2019, in calo di 70mila barili al giorno rispetto alla sua ultima proiezione di ottobre, e dove viene individuata negli Stati Uniti la causa del rialzo di 120mila barili che farà aumentare la produzione dei Paesi non Opec di 2,23 milioni di barili l'anno prossimo.

C'è insomma un problema legato al rallentamento dell'economia globale, ma soprattutto il focus è sui ritmi di output impressi dall'industria a stelle e strisce dello shale oil che determineranno «un ampliamento dell'offerta in eccesso sul mercato». Appare così più chiara la proposta formulata dal Cartello ai Paesi esterni all'organizzazione di tagliare complessivamente di un milione di barili al giorno i livelli produttivi 2019. L'obiettivo è naturalmente quello di sostenere i prezzi dell'oro nero attraverso il drenaggio di una quota significativa di barili.

È lo stesso ammontare che, stando ad alcune proiezioni, sarebbe venuto a mancare dalla sponda iraniana per effetto dell'embargo scattato dallo scorso primo di novembre. Ma dopo la dispensa concessa da Donald Trump a otto Paesi (tra cui l'Italia), quelle stime si sono rivelate pessimistiche e il nodo del surplus di offerta è apparso in tutta evidenza. Si tratta di una matassa non facile da sbrogliare, perché va a toccare equilibri delicati e instabili. L'Arabia Saudita è il membro dell'Opec che più spinge per calmierare l'offerta. Riad ha già detto di volersi accollare metà del taglio proposto, ossia 500mila barili. La Russia ha però detto «niet», obiettando che è meglio agire con cautela a fronte di un mercato volatile. È un no che pesa. Mosca è infatti tra i principali artefici dell'intesa di Doha con cui, proprio attraverso il contenimento della produzione, è stata resa possibile una resurrezione delle quotazioni del Wti dai 30 dollari di inizio 2016 fino a un massimo di 75 dollari. Difficile che questo approccio così diverso su un aspetto strategico fondamentale si risolva in un punto di incontro durante il vertice dell'Opec Plus (ovvero quello allargato ai Paesi esterni al Cartello) previsto a Vienna per il 6-7 dicembre.

I sauditi devono poi fare anche i conti con la Casa Bianca. Lunedì scorso, in un tweet, Trump ha ribadito di non gradire riduzioni della produzione che possono rafforzare i prezzi del petrolio e, successivamente, far aumentare quelli dei carburanti.

Meglio evitare: una benzina più cara non fa mai bene all'indice di gradimento del presidente.

Commenti