Economia

Piazza Affari teme lo "scippo" dell'idroelettrico

Multi-utility nel mirino, ma lo Stato rischia un boomerang da 5 miliardi

Piazza Affari teme lo "scippo" dell'idroelettrico

Mina idroelettrica sulle utility italiane. Le concessioni autostradali salgono sul banco degli imputati trascinando nell'incertezza anche il business «dell'oro blu» che in Italia vale milioni ed è una voce importante dei bilanci delle ex municipalizzate. In nome della diversificazione, queste società hanno spaziato, infatti, dai rifiuti, al green passando per l'energia e appunto l'acqua. D'altra parte, il nostro Paese si colloca al quarto posto per energia idroelettrica generata in Europa (terzo nell'Unione) dopo Norvegia, Svezia e Francia.

Ma se è vero che l'impatto di un'eventuale nazionalizzazione/revisione del settore - come paventato da Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri - potrebbe essere negativo per i conti delle utility, sul lungo periodo, potrebbe essere lo Stato a ritrovarsi con il cerino in mano. Il settore ha infatti raggiunto la maturità e una crescita è possibile quasi solo per il «mini idro» (impianti sotto 1Mw), mentre lo sfruttamento del potenziale dei grandi impianti potrà avvenire solo con un ampio programma di rinnovamento: insomma, investimenti. Secondo Althesys, think tank sull'industria del waste management, un terzo degli impianti idro necessitano di interventi per aumentarne le prestazioni. E si tratta di almeno 5,5 miliardi. Un potenziale boomerang per le casse dello Stato anche se gli investimenti potrebbero essere supportati da private equity e fondi. E certo genererebbero ritorni.

Ma quali sono le società potenzialmente coinvolte? In cima alla lista A2a. Per la multiutility lombarda la produzione idroelettrica vale il 18-20% dell'ebitda, ma è l'unica ad avere delle concessioni che scadono a breve. «Sul rinnovo dei servizi in concessione - scrive Equita- riteniamo che i rischi maggiori siano per le società che gestiscono asset idroelettrici e in particolare per A2A, che ha il 40% delle concessioni (sistema della Valtellina) che scadranno nel 2020 (le altre concessioni scadono al 2029)». La società guidata da Luca Camerano ha 1900 MW di capacità installata, di cui il 40% ha la concessione scaduta e prorogata al 2020. Nel settore water le società più esposte sono poi la romana Acea (43% dell'ebitda), la bolognese Hera (23%), l'emilian-piemontese Iren (19%), la Erg della famiglia Garrone (20%) ed Enel (5%). Queste ultime hanno però tutte concessioni con una scadenza lontana: è datata 2029. Sarebbe, dunque, più complessa, a bocce ferme, una nazionalizzazione/privatizzazione.

Nel dettaglio, il governo vorrebbe rivedere i rapporti con i gestori di dighe e concessioni idroelettriche e valutare un eventuale riequilibrio contrattuale con i concessionari. Tempi e modi però sono incerti. Anche per questo i titoli del settore sono in altalena: nell'ultima settimana A2a ha perso il 3,37%, Erg lo 0,89 %, Iren il 2,94%, Acea il 4,36%, Enel l'1,21% ed Hera il 4,20%. Il settore aspetta da tempo una vasta regolamentazione: il parco idroelettrico italiano ha oggi 3.

700 impianti per una potenza complessiva di 18,5 GW, fornisce il 16,5% dell'elettricità nazionale e il 42% della produzione rinnovabile.

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