Economia

Pirelli parla cinese, ma resta italiana

Pechino avrà la maggioranza del gruppo, si chiude entro l'estate. Tronchetti: «Garantito lo sviluppo»

Il colosso pubblico asiatico ChemChina prende il controllo di Pirelli dalla compagine italiana riunita in Camfin e guidata da Marco Tronchetti Provera, con cui firma però un'alleanza industriale di lungo periodo. L'accordo è stato ufficializzato ieri, dopo un fine settimana speso a limare i dettagli tra Milano-Mosca e Pechino: l'intera operazione vale 7,4 miliardi e l'obiettivo è completare il riassetto entro l'estate.

ChemChina dovrebbe staccare un assegno da quasi 1,9 miliardi per rilevare attraverso la scatola «Bidco» il 26,1% di Pirelli in mano a Camfin: 15 euro per azione. Gli italiani e i russi di Rosneft quindi monetizzeranno, ma reinvestiranno parte del ricavato nella newco, che lancerà un'Opa totalitaria (sempre a 15 euro) sia sulle azioni ordinarie sia sulle risparmio. Bidco sarà infatti controllata da Pechino (65%), e Camfin (35%), attraverso altri due veicoli: Newco e Holdco. Obiettivo dell'Opa: cancellare, dopo 92 anni, il titolo Pirelli dal listino di Piazza Affari. La famiglia Malacalza, ex alleata di Tronchetti e titolare del 7%, sembra però aver scelto una tattica di attesa e di non vendere.Così come non si conosce il parere dei fondi Fil Limited e Harbor, di Benetton e di Mediobanca: in tutto il 22,6% del capitale. Potrebbe quindi essere più difficile raccogliere il 67% delle azioni, necessario per il delisting. Altra incognita è poi il verdetto dell'Antitrust.

Dopo il riassetto la maggioranza della newco (51%) sarà comunque di Pechino: previsto anche un vincolo di put & call incrociato. Quanto alla governance, a ChemCina spetterà di indicare il presidente (il cui voto sarà decisivo) mentre Tronchetti resterà capo azienda. «L'accordo con ChemChina rappresenta una grande opportunità. L'approccio al business e la visione strategica» di Pechino «garantiscono lo sviluppo e la stabilità di Pirelli», ha assicurato l'imprenditore.

Il piano prevede già la separazione del braccio «retail» (gomme per auto e moto) da quello «industrial» (camion). Quest'ultimo è destinato a integrarsi con la cugina cinese Aeolus, controllata da ChemChina; nell'arco di 3-4 anni Pirelli Tyre (auto e moto) potrebbe invece tornare in quotazione, secondo alcuni a Londra.

Da ora in poi, più che euro e rubli sarà quindi il renminbi a scorrere nei bilanci della multinazionale delle gomme che, già oggi ha peraltro stabilimenti in 13 Paesi e deve all'estero il 90% di ricavi. Il passaggio in mani cinesi di un gruppo che è stato il simbolo della rinascita industriale di Milano, poggia inoltre sulla conferma che cuore e cervello di Pirelli rimarranno sulla Penisola. Gli accordi, modificabili solo con un quorum del 90% in assemblea, sanciscono infatti che restino italiani sia il management, a partire da Tronchetti che lascerà solo nel 2021,sia la sede sia la Ricerca e sviluppo, dove lavorano 400 ingegneri e tecnici.

Venerdì in Borsa il titolo ha chiuso però a 15,2 euro (+2,2%): segno che il mercato si aspetta un rilancio.

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