Economia

La Procura di Milano si spacca sul caso Ligresti

Impugnata l'assoluzione del figlio Paolo che era stata chiesta anche dai pm. Ci sarà un appello

Luca Fazzo

Che sul crollo dell'impero di Salvatore Ligresti le Procure di Torino e di Milano avessero linee profondamente difformi era chiaro ormai da anni, man mano che le inchieste condotte nelle due città su Fonsai prendevano strade diverse e a volte contraddittorie.

Ma ieri il caos si fa totale, perché si scopre che: la spaccatura attraversa anche gli uffici giudiziari milanesi. Si apprende infatti che la Procura generale del capoluogo lombardo ha impugnato la assoluzione, pronunciata nel dicembre scorso, di Paolo Ligresti, figlio dell'Ingegnere. Peccato che la assoluzione di Ligresti junior fosse arrivata su richiesta non solo del suo difensore Davide Sangiorgio ma anche della stessa Procura della Repubblica. Ora invece, un piano più sotto, i magistrati della Procura generale chiedono un processo d'appello e la condanna del manager.

L'11 dicembre Paolo Ligresti era stato assolto dall'accusa di falso in bilancio perché «il fatto non sussiste» e insieme a lui erano stati assolti i dirigenti Pier Giorgio Bedogni e Fulvio Gismondi. Il giudice, il pm Donata Costa e i difensori di Ligresti si erano ritrovati concordi nel demolire quello che invece per la magistratura torinese è una delle architravi dei capi d'accusa contro l'Ingegnere, i suo figli e i suoi manager: il presunto taroccamento della «riserva sinistri» di Fonsai messa a bilancio nel 2013. Una divergenza apparentemente «tecnica», dietro alla quale ve n'è una ben più sostanziosa: quella sul ruolo delle banche nel crac ligrestiano.

A Torino gli istituti di credito sono considerati vittime, a Milano complici: tant'è vero che qui è in corso dall'aprile scorso il processo a Piergiorgio Peluso, ex amministratore delegato di Unicredit Corporate Banking, e ad altri undici imputati.

Ora, a sorpresa, è il procuratore generale di Milano Carmen Manfredda a chiedere che Paolo Ligresti (che si consegnò alla magistratura italiana, anche se come cittadino svizzero non poteva essere estradato) sia nuovamente processato e stavolta condannato.

Nelle 115 pagine del ricorso, oltre a indicare Ligresti come «promotore o istigatore» dell'operazione di maquillage dei conti, la Manfredda bacchetta i suoi colleghi della Procura milanese, accusandoli di non avere accertato se l'entità del falso in bilancio superasse la modica quantità prevista dalla legge.

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