Economia

La proposta di Brunetta: rinvio pareggio bilancio

La scadenza va fissata al 2014, non al 2013. E le risorse recuperate dai tagli devono andare in investimenti

La proposta di Brunetta: rinvio pareggio bilancio

È arrivato il momento di dire basta. Non dobbiamo più subire. Il terre­moto, con i lutti, le distruzioni, lo shock psicologico ed economico che porta con sé, si abbatte su un'Italia già fe­rita dalla recessione, pessimista, imbarbari­ta e apparentemente incapace di riprendere in mano il proprio destino, correggendo erro­ri e rifiutando di sottostare passivamente a politiche adottate sotto pressione esterna e in un contesto profondamente mutato.

Il terremoto ha posto in luce ancora una volta debolezze strutturali che non sono ri­sultato di insufficiente spesa pubblica, quan­to di un’allocazione distorta delle risorse non corretta nei decenni attraverso i necessa­ri investimenti. E tuttavia queste, come altre debolezze, non possono essere affrontate in una fase recessiva né attraverso ulteriori fero­ci tagli di spesa, né attraverso un ulteriore au­mento della pressione fiscale. Non si tratta di trovare i finanziamenti per gli interventi di urgenza, reperibili anche nell'ambito degli obiettivi di bilancio fissati, ma di dare final­mente al Paese una prospettiva di ripresa, di speranza, legando l'azione di breve periodo agli obiettivi di lungo periodo.

È arrivato il momento di dire basta ai diktat della Germania. Ciò significa mutare il se­gno delle aspettative di breve, non pensando che queste non influenzino quelle di lungo periodo. Per essere chiari, è necessario che si vada certamente a fondo nella spending re­view, nei tagli, con un obiettivo immediato di revisione e di riallocazione della spesa pubblica, ma non con la pressione di un obiettivo di riduzione immediata, non con un obiettivo congiunturale. Insomma basta tagliare sull'altare della riduzione del defi­cit. I mercati non sanno che farsene di un Pae­se in pareggio ma economicamente strema­to. Invece, le risorse reperite nell'immediato devono essere tutte reinvestite, mentre la ri­duzione di spesa da ricercare deve essere strutturale e diretta a una riduzione altrettan­to strutturale della pressione fiscale. Meno spesa, meno tasse.

Ciò vuol dire nessuna correzio­ne del deficit che aumenta a causa del ciclo negativo. Ricollochiamo, piuttosto, ufficialmente l'obiettivo di pareggio del bilancio al 2014, se­condo il calendario già concorda­to con l'Europa, prima della bufe­ra, dell'imbroglio, dell'estate scor­sa, e corretto in agosto con l'accet­tazione delle richieste della Banca centrale euro­pea, nel pieno della crisi che dalle banche ve­niva trasferita ai debiti sovra­ni in tutta Euro­pa e che in quel momento veni­va indirizzata verso l'Italia.

Allora l'anti­cipazione del pareggio significava più credibilità. Ma il contesto, do­po quasi un anno di errori ed egoi­smi della governance europea, è cambiato. È chiaro oggi che l'origi­ne della crisi non era nella sosteni­bilità del debito italiano, che l'in­certezza che permane ha le sue fon­damenta nella crisi greca, nelle dif­ficoltà del sistema bancario, non solo spagnolo, e nella crisi dell'eu­ro mes­so in discussione dalla poli­tica di austerità imposta dalla Ger­mania. Soprattutto è chiaro oggi che la sostenibilità dei debiti sovra­ni, e il livello dei deficit che li ali­mentano, dipende dall'incapacità dell'Europa di rispondere a un mu­tamento di politica economica che ci viene richiesta da tutto il re­sto del mondo. Certamente non è un punto in meno di deficit pubbli­co, in piena recessione, che può da­re fiducia ai cosiddetti mercati, che al contrario ne ricevono un’im­pressione di paralisi nella capacità di governo dell'economia.

Il presidente Monti, che si sta co­raggiosamente impegnando per un mutamento della direzione di politica economica a livello euro­peo, ha oggi la forza per riportare ufficialmente l'obiettivo di pareg­gio di bilancio al 2014 a testa alta. D'altra parte questo è quanto pro­babilmente accadrà, ma ciò non deve avvenire come non raggiungi­mento di un obiettivo, come falli­mento, ma come perseguimento di una strategia liberamente scelta secondo logica economica corret­ta e come segno di una forza e affi­dabilità riconquistata, e quindi con un impatto di segno opposto sulle aspettative. Serve dare un se­gnale non solo ai mercati finanzia­ri, ma anche ai mercati reali, dome­stici ed esteri, di una volontà di rea­zione alla congiuntura che non si­gnifica allentamento di un pro­gramma di consolidamento fisca­le, che l'Italia sta perseguendo da anni senza sforamenti, ma di capa­cità di rimanere fuori dalla spirale greca di autodistruzione program­mata.

Si rimetta in moto la macchina degli investimenti, infrastruttura­li, ambientali, di manutenzione. Che lo Stato paghi i suoi debiti. Ba­sta flagellarci. Facciamo che da questo evento tragico, drammati­co, catastrofico, ritorni la forza, la voglia, la passione di ricomincia­re. Siamo in grado di farlo. Lo dob­biamo alle vittime e lo dobbiamo al Paese.

Lo dobbiamo ai nostri fi­gli.

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