Economia

Quanti affari miliardari dietro la banda ultralarga

Si potrebbe scorgere un certo conflitto di interessi sul fatto che il proprietario di un'azienda che posa cavi, sia anche l'artefice delle regole sul modo di posarli e di finanziarli

Quanti affari miliardari dietro la banda ultralarga

Se in Italia ci sarà un futuro sulla banda ultralarga, quel futuro sarà firmato da Franco Bassanini (presidente di Cdp e Metroweb). Si potrebbe scorgere un certo conflitto di interessi sul fatto che il proprietario di un'azienda che posa cavi, sia anche l'artefice delle regole sul modo di posarli e di finanziarli. E da queste parti (al Giornale della famiglia Berlusconi, come scrivono sempre quelli che ci amano) i conflitti di interesse li conosciamo bene. Diciamo che abbiamo specializzato il nostro olfatto. Il fatto che Bassanini sia il deus ex machina del nostro sviluppo digitale non è detto che rappresenti un danno per il sistema Paese; è certo, però, che possa rappresentare un beneficio per la sua (per carità non sua sua) Metroweb.

Un paio di giorni fa a Palazzo Chigi si è tenuto un supervertice per far decollare il progetto di banda ultralarga. A tirare le fila Raffaele Tiscar (vicesegretario generale della presidenza del Consiglio), il viceministro Giacomelli e i consiglieri governativi Andrea Guerra (che oggi sembra ben più preoccupato dei cavi di acciaio che di quelli in fibra) e Yoram Gutgeld. Lì, in un angoletto, c'era però l'uomo che conta: Bassanini, non ancora un membro o consulente del governo.

Ma che ci faceva uno degli operatori in gioco al tavolo delle regole? Tanto più che quell'operatore era già pesantemente intervenuto anche nell'elaborazione di una leggina (lo «Sblocca Italia») che anche di banda si preoccupa. Non vi vogliamo annoiare troppo, ma dietro a piccole questioni tecniche si giocano milioni di finanziamenti. E in una fase come questa, in cui tutti sono con i bilanci da mettere a posto, un aiutino in più non guasta. Il solo «Sblocca Italia» ha previsto circa mezzo miliardo di sgravi fiscali (tra riduzione di Ires e Irap) e circa 4 volte in più sono in discussione in queste ore proprio al tavolo dove ha partecipato anche Bassanini. Mettiamo però un punto fermo. Bassanini fa il suo mestiere. E lo fa bene. Cerca di valorizzare al meglio le attività che presiede. Bisogna solo capire se il governo ha un piano preciso e se ritiene che per raggiungerlo lo strumento migliore siano le società (sostanzialmente pubbliche) guidate proprio da Bassanini.

Il governo ha un po' di quattrini europei per la digitalizzazione del Paese: 2,2 miliardi tra crediti di imposta e contributi a fondo perduto. E circa 4 miliardi in finanziamenti a tassi più che agevolati. Questa discreta massa di risorse deve andare a quegli operatori in grado di sviluppare la rete di fibra. Metroweb (la società controllata dalla Cdp di Bassanini e dal Fondo F2i) doveva essere il perno di questo sviluppo. L'inventore di F2i, il visionario Vito Gamberale, aveva sostenuto come Metroweb e Telecom avrebbero potuto dare una spinta a questa opera di modernizzazione. Alla fine non se ne è fatto niente. Ecco perché c'è il sospetto legittimo che il governo abbia in mente un piano di politica industriale molto preciso. Intanto, con lo «Sblocca Italia» ha creato le condizioni per far sì che Metroweb (o chi per essa) investa (e ottenga finanziamenti pubblici) anche nelle città in cui la fibra è già posata. Certo, si deve prevedere un salto tecnologico per far sì che non si incorra negli strali europei contro gli aiuti di stato. E dunque, a parte Milano (che viaggia proprio su Metroweb), in tutte le altre città si dovrà portare la potenza da 30 a 100 Mega. In questo disegno l'operatore più adatto è proprio Metroweb (che essendo un rivenditore di banda ha come clienti i vari Telecom, Vodafone, Infostrada, Fastweb e così via): che ha però bisogno di capitali (i prestiti di cui parlavamo) e risorse fresche per fare gli investimenti necessari.

C'è poi un ultimo tassello. E cioè il futuro azionariato di Metroweb. F2i ha detto di voler cedere la sua partecipazione. Nel 2011 l'aveva pagata circa 250 milioni. L'ambasciatore inglese ha recentemente confessato al nostro ministro degli Esteri, Gentiloni, dell'interesse di una loro società (Vodafone, chi se no?) per questa quota. E anche Telecom sarebbe più che interessata al 54% messo in vendita. In palio non tanto gli uffici e i pochi dipendenti di Metroweb, ma un business che sarà finanziato largamente dai fondi europei. O, se volete metterla bene, un business che potrà rendere più produttivo questo Paese.

Ma che si faccia tutto alla luce del sole e con po' di concorrenza, siamo sicuri, è obiettivo di un uomo saggio come Bassanini.

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