Economia

Quei sassolini seminati da Mustier e la marcia francese su Milano e Trieste

Quei sassolini seminati da Mustier e la marcia francese su Milano e Trieste

Premettiamo, tanto per essere chiari, che Unicredit è, nonostante tutto, un gioiellino della finanza italiana. Nulla a che vedere con i suoi competitor internazionali, che pure rischiano di fagocitarla, grazie ad un prossimo aumento di capitale a forte sconto. Ma qualcosa, da profani, vorremmo capire meglio. Sarebbe interessante che il suo numero uno, Jean Pierre Mustier, ci spiegasse, ma facile facile, alcune cosettine. Uomo di poche parole, tosto, rasato, ex paracadutista, con un solo neo: essere stato di fatto a capo di quel Kerviel che fece un buco di cinque miliardi a SocGen nel 2008.

Facciamo un passo indietro. Mustier era il capo della divisione corporate di Unicredit e vicedirettore generale quando fu silurato ad agosto del 2014. Dopo meno di due anni, piú o meno i medesimi che lo fecero fuori, gli chiesero di diventare numero uno della banca. Mustier accetta e inizia a fare piazza pulita. Fatta questa premessa, tanto per capire il contesto, partiamo con le nostre domande.

In un comunicato del 10 novembre del 2016 relativo ai primi nove mesi dell'anno, si legge che Unicredit ha fatto segnare un utile di 1,8 miliardi e che la qualità dell'attivo è ancora migliorata. Il Sole 24 Ore titola: «Unicredit, sale il capitale». A dirla tutta in quel comunicato si legge anche una postilla in corsivo e riguarda l'attesa di un prossimo annunciato piano industriale che potrebbe cambiare alcune poste di bilancio. Passa circa un mese e scopriamo che la banca che fino a trenta giorni prima aveva un utile che sfiorava i due miliardi, chiuderà con una perdita di 11,8 miliardi. Nel frattempo infatti Mustier comunica al mercato il 13 dicembre del 2016 che verranno fatte pulizie di bilancio per 12,2 miliardi, che il consiglio di amministrazione del 30 gennaio del 2017 fa salire di un altro miliarduccio.

Allora, noi che siamo dei contadini poco avvezzi alla finanza ci chiediamo: a cosa servono tutte queste comunicazioni price sensitive, come si dice, e che raccontano realtá che cambiamo cosí velocemente? E siamo indulgenti. Insomma in meno di un mese una banca scova nei cassetti 13 miliardi di perdite non ricorrenti e si puó far finta di nulla? E chi ci assicura che siano finite? O al contrario, e piú maliziosamente, chi ci assicura che non siano stata una sovra-reazione di un manager prima cacciato e poi recuperato, che si voglia togliere qualche sassolino, oltre che qualche perdita, dalle scarpe? Per caritá come ci si permette a pensare cosí male? Anche noi riteniamo che il sospetto non sia l'anticamera della veritá, ma ci si conceda almeno un po' di scetticismo sull'attendibilità delle trimestrali di Unicredit.

Adiamo avanti. Nel frattempo, il medesimo banchiere ha deciso di vendere attivi della banca per circa 7-8 miliardi. E di lanciare un aumento di capitale da 13 miliardi (pari alle svalutazioni straordinarie fatte a dicembre) a fortissimo sconto. Ve la facciamo breve. La banca si trova un gruzzoletto per le dismissioni degli attivi, i bilanci (si spera) puliti con la varechina e l'acido muriatico e una pattuglia di soci storici alla canna del gas. Nel senso che non hanno i soldi per tenere il passo di un aumento di questa dimensione. Il risultato finale é scritto (quanto speriamo di sbagliarci): ci sarà un azionariato completamente nuovo nella banca. Vedremo se in esso spunterà un bel socio bancario francese, che Mustier conosce bene. Tipo SocGen. Ma questa non è una domanda, è una malizia o se preferite è il mercato.

Ps.: negli ultimi cinque anni un azionista Unicredit ha perso il 35% sul valore dei suoi titoli, un cuginetto francese con in portafoglio SocGen ha fatto il 95%. Discorso simile per l'altra magnifica coppia: Generali in cinque anni ha fatto un più 21% di cui gran parte dei guadagni proprio in queste settimane grazie alla possibile scalata (e conseguente risposta italiana da parte di Intesa, che ieri incredibilmente ha detto di aver solo «scherzato») di Axa, che in cinque anni ha visto il suo valore crescere del 85 per cento. Unicredit e Generali restano dei gioiellini, ma ad essere buoni, diciamo che hanno perso un giro di valzer.

E più che rimanere zittelle, rischiano di finire tra le braccia di un bruto.

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