Economia

La raccolta dei "Pir" rallenta il passo

Nel trimestre si è fermata a 1,9 miliardi. Ma dopo il rally 2017 il calo è fisiologico

La raccolta dei "Pir"  rallenta il passo

Si è già spenta la febbre da Pir? L'anno scorso sotto l'ombrellone non si parlava che degli strumenti dedicati al pubblico risparmio introdotti con la finanziaria 2017, e di Aim, l'indice delle microimprese che aveva vissuto un enorme rilancio proprio grazie all'introduzione dei Piani individuali di Risparmio (che per legge devono essere investiti per almeno il 21% in piccole e medie imprese e comunque in società diverse da quelle inserite nell'indice Ftse Mib).

I piani individuali di risparmio hanno raggiunto lo scorso anno una raccolta di poco meno di 11 miliardi (10,9 in tutto), una cifra a cui vanno aggiunti i 5 miliardi circa di masse preesistenti in fondi divenuti nel corso dei mesi «Pir Compliant» per masse complessive quindi pari a 15,8 miliardi. Risultati record sostenuti dalla novità dello strumento finanziario e dalle incentivazioni fiscali previste a sostegno dei risparmiatori (se si mantiene un portafoglio Pir per cinque anni, il rendimento eventuale è esentasse). Proprio l'entrata in vigore dei nuovi strumenti finanziari, aveva portato poi nel 2017 alla rinascita dell'Aim, il listino un tempo asfittico (la media mensile degli scambi sull'Aim nel 2016 si arrestava a 27 milioni, nel 2017 è salita a 165 milioni) e dove oggi, dopo le 24 Ipo del 2017 e le 19 ammissioni del 2018, per entrare c'è la lista di attesa. Nei primi tre mesi del 2018, secondo Assogestioni, la raccolta si è però fermata a 1,98 miliardi rispetto ai 3,38 miliardi del quarto trimestre del 2017. E nel semestre, secondo alcune stime di mercato, dovrebbe essersi attestata a 2,5 miliardi.

«Proiettando le nuove previsioni relative ai Pir del governo nei cinque anni si stima un apporto di risorse cumulato pari 50 miliardi», scrive IRTop Consulting nell'ultimo Osservatorio Aim. I broker hanno preso in mano le forbici: Intermonte ha rivisto le proprie attese sull'anno a 10 miliardi di raccolta (rispetto ai 12 miliardi previsti in precedenza) e Equita da 9,1 a 7,8 miliardi. Gli esperti hanno giustificato i tagli con la riduzione degli investimenti destinati ai Pir, l'aumento della volatilità e la stanchezza delle reti che, dopo aver spinto per il 2017 su questi prodotti, starebbero fisiologicamente spostando l'attenzione su altri. Nessun dramma, ma solo un ritorno alla realtà di uno strumento che, tra l'altro, deve ancora dimostrare all'investitore tutto il suo potenziale. Gli effetti della performance dei Pir sul patrimonio complessivo dei piani di investimento non si sono ancora visti: il patrimonio (che oltre alle masse in gestione comprende le performance) a marzo 2018 è salito a 17,5 miliardi dai 15,8 miliardi di dicembre grazie alla sola raccolta.

Si procede verso una fase di normalizzazione come è già avvenuto in Francia (che conta oggi su 120 miliardi raccolti dai Plan Epargne d'Action del 1992), Canada (150 miliardi di dollari raccolti dal 2009 dai tax free saving account dal 2009) e Gran Bretagna (518 miliardi di sterline raccolti dagli individual saving account introdotti nel 1999), dove strumenti simili si sono evoluti nel tempo e oggi hanno importanti masse in gestione. Per una visione più di insieme occorrerà attendere i dati semestrali di Assogestioni in calendario per fine agosto-inizio settembre. Certo è che occorrono tempo, esperienza e nuovi investitori. Finora, secondo uno studio di Prometeia, i Pir hanno rappresentato poco meno del 15% dei flussi investiti dalle famiglie.

Una percentuale che si spiega con la modesta familiarità con il prodotto, l'incertezza dei mercati che non aiuta e i rigidi paletti all'investimento posti dal legislatore.

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