Economia

Riforme, servono vent'anni

Quando il Governo si attribuisce meriti per qualche dato economico confortante fa il suo mestiere (male!). Illude sapendo di illudere; e questo non è un buon servizio reso ai cittadini.

Nel corso dell'estate lo ha detto anche il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco; tra le righe il suo messaggio suona così: è fuorviante attribuire a un percorso di riforme il leggero andamento positivo della nostra economia. Insomma: non ci sono meriti, se non deboli. Il segno + riferito a qualche voce fondamentale è allora da ricondurre a una positiva congiuntura internazionale: il Paese ha beneficiato del vento favorevole. Ma il vento, si sa, come arriva se ne va. Può tornare la calma piatta. Un fenomeno congiunturale, per l'appunto. Dunque, guai a cullarsi sugli allori di meriti che non si hanno. Perché non vi è nulla di strutturale nelle mosse governative; nessuna grande riforma, solo bonus, incentivi qui e là, assegni vari. Manca una visione, la concretezza della politica capace di guardare molto più in là, poggiando finalmente su solide fondamentale. Impegni strutturali! La scorsa settimana mi sono imbattuto in un'intervista all'economista americano Chris Edwards, uno dei più autorevoli animatori del think tank conservatore Cate Institute di Washington. Riporto una sua frase: «I politici sono sempre tentati di guardare al breve termine, ma nei tempi brevi ci sono anche variabili come un uragano, la fluttuazione valutaria, l'andamento della Borsa. Una riforma dovrebbe avere un fiato più lungo e guardare il futuro». Parole che mi confortano su una convinzione che mi porto appresso da quel dì: il rilancio della nostra Italia può avvenire solo con piani di riforma a vent'anni. Se invece continueremo con piccoli interventi a fini elettorali, scordiamoci uno sviluppo che tenga nel tempo.

Serve uno slancio coraggioso della buona politica. Quella di impronta liberale.

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