Economia

Il risiko contagia anche le banche arabe

La National Bank di Abu Dhabi e la First Gulf stanno studiando la fusione

Il risiko bancario contagia anche il Medio Oriente: National Bank of Abu Dhabi e First Gulf Bank, rispettivamente la settima e la quindicesima banca del Golfo, hanno annunciato ieri la formazione di alcuni gruppi di lavoro per valutare una possibile fusione.

Se le nozze venissero consumate, nascerebbe un colosso da circa 170 miliardi di dollari di asset gestiti con una capitalizzazione di mercato di quasi 30 miliardi (13 dalla National Bank più i 16 della Gulf Bank). Un «peso massimo» del credito mediorientale anche rispetto alla Qatar National Bank che oggi occupa il primo posto in classifica fra le big locali del credito.

Si tratta di una novità per gli Emirati Arabi (9 milioni di persone con quasi 50 banche) dove gran parte degli istituti locali è controllata dal governo o dalla famiglia regnante e dove l'ultima fusione di rilievo risale al 2007, quando National Bank of Dubai si unì con Emirates Bank International per creare Emirates Nbd. Nbad è invece controllata al 69% dal fondo sovrano Abu Dhabi Investment Council e Fgb ha come maggiore azionista il fondo di investimenti pubblico Mubadala Development. Il mercato brinda al fidanzamento con un balzo di quasi il 5% dell'indice di Abu Dhabi, il maggior guadagno degli ultimi diciotto mesi.

Non è un caso che il risiko bancario parta proprio ora. Anche i ricchi paesi del Golfo devono affrontare il nodo del debito come conseguenza del crollo del prezzo del petrolio che degli ultimi due anni ne ha ridotto le riserve: dal settembre 2014 si è dimezzato fino a toccare il minimo di 27 dollari per poi risalire fino ai 50 dollari al barile. Ma assai lontano dai picchi passati.

La finanza viene dunque vista come nuovo motore dello sviluppo. Si è allungato l'elenco degli paesi arabi decisi a ricorrere ai mercati finanziari internazionali, attraverso le emissioni di bond miliardari, da cui erano assenti almeno da cinque anni. Per gli analisti questa raffica di emissioni rappresenta una svolta per i paesi dell'area destinati a modificare il loro profilo da creditori internazionali a quello di debitori.

Secondo gli analisti, la strategia di aumentare l'esposizione del debito verso l'estero ha l'obiettivo di alleggerire la pressione sulle banche locali che nell'ultimo anno sono stati i principali sottoscrittori dei titoli di Stato in valuta locale oltre ad avere sostenuto i gruppi industriali nazionali in primo luogo quelli petroliferi.

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