Economia

Sì della Cdp al salvataggio dell'Ilva

Via libera del cda alla newco con Arvedi e Del Vecchio: si chiamerà AcciaiItalia

Diana Alfieri

Patto d'acciaio Arvedi-Delfin-Cdp per l'Ilva. La cordata che intende rilevare il gruppo siderurgico prende forma e ha già battezzato la newco che sarà formalizzata entro domani: si chiama AcciaiItalia. La partecipazione di Cassa Depositi e Prestiti, in qualità di anchor investor e Istituto nazionale di promozione, ha ottenuto il via libera dal cda che si è riunito ieri. Capofila della cordata sarà Arvedi, con una partecipazione finanziaria della Delfin del fondatore di Luxottica, Leonardo Del Vecchio.

L'alleanza tricolore va insomma avanti nonostante la defezione dei turchi di Erdemir, stoppati dai soci raccolti dal fondo pensionistico delle forze armate che lamentavano una carenza di informazioni per potersi impegnare formalmente entro la scadenza di fine mese. La porta comunque, almeno nelle intenzioni di Erdermir, non sarebbe definitivamente chiusa. È ciò che spera il governo, che contava su una cordata più allargata e più solida sotto il profilo finanziario. In base all'accordo che era già stato formalizzato i turchi avrebbero dovuto avere il 30-35% della newco (con un miliardo di capitalizzazione) mentre ad Arvedi sarebbe andato il 9-10 per cento e la quota residua sarebbe stata riservata a Cdp e Delfin. Di recente, Giovanni Arvedi non aveva escluso la possibilità di coinvolgere in un unico blocco anche la cordata avversaria composta dal gruppo Marcegaglia (col 15%) e da Arcelor Mittal (con l'85%). Un abboccamento respinto però dal presidente del gruppo mantovano, Antonio Marceglia, che oltre a ribadire la propria adesione al patto con gli alleati franco-indiani aveva sottolineato anche come i due progetti industriali non fossero perfettamente compatibili.

Il ruolino di marcia che porterà entro la fine dell'anno alla vendita del gruppo in amministrazione controllata da un anno e mezzo, prevede che a fine mese vengano esaminate le proposte, con un'attenzione particolare soprattutto al piano ambientale, prevalente - almeno nella prima fase di vaglio - su quello prettamente industriale. Nei giorni scorsi, davanti alla commissione Industria del Senato, Arvedi aveva spiegato di prevedere una «prima fase di recupero il più veloce possibile della situazione attuale» a Taranto, ripristinando la fiducia e le certezze sia da parte delle istituzioni locali, che dei cittadini e dei dipendenti di Ilva. «Solo in un secondo momento si dovrà affrontare il «tema più importante del processo industriale». Poi «c'è un nostro pensiero di politica industriale che mira a far sì che gli stabilimenti di Taranto, Cornegliano e Novi e di Cremona e di Trieste si uniscano insieme in una società e creino per il Paese una società forte, competitiva, che poi potrebbe essere anche quotata in Borsa, ma creino quella dorsale forte di prodotti piani utile nella grande sfida della globalizzazione».

Per Arvedi, dunque, «di fianco a un progetto di riconversione industriale c'è la proposta che farò in una seconda fase di pensare ad una grande società italiana di 12 milioni di tonnellate che può fatturare 7-8 miliardi di giro di affari che è un po' in linea con il consolidamento di quanto avviene in altri Paesi».

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