Economia

Saipem prima "stecca" della Cdp

L'aumento di capitale fa flop: la Cassa perde 450 milioni e i piccoli soci un miliardo. Brinda solo Eni

Saipem prima "stecca" della Cdp

Saipem, società del gruppo Eni, da fine 2012 ha bruciato 50 miliardi di capitalizzazione. Cosa sia successo in questi tre anni dentro a questo gioiello pubblico italiano dell'ingegneria e delle infrastrutture energetiche prima o poi lo si saprà. Quello che già si sa con certezza è che ci hanno lasciato le penne decine di migliaia di risparmiatori, piccoli e grandi, direttamente o tramite fondi comuni e pensione. Tutti azionisti, 53mila quelli iscritti a libro soci, di una società controllata dello Stato. L'ultima puntata è di ieri, con la chiusura dell'aumento di capitale da 3.500 milioni, varato per salvare il gruppo e sottoscritto all'87%. È una storia che vale la pena di raccontare, limitandosi ai fatti, perché istruttiva. I soggetti in campo sono tre: i soci comuni, l'Eni e la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp).Ai blocchi di partenza dell'aumento di capitale, partito il 25 gennaio e garantito da un consorzio di banche di tutto il mondo, Saipem vale in Borsa (già massacrata da mesi) circa 2 miliardi, con un debito netto di circa 5,7. Un debito e questo è il punto fondamentale che per il 93% è con l'Eni, cioè con la sua controllante, che detiene il 42,9% del capitale. L'aumento, si legge nel prospetto, servirà ad abbattere il debito Saipem. Quindi finirà tutto, per 3,5 miliardi, nelle casse dell'Eni. Nello stesso tempo il cane a sei zampe diminuirà la sua quota in Saipem, scendendo al 30,4% (il che consentirà, tra l'altro anche di deconsolidare il resto del debito di Saipem).

Il 12,5% lo compra la Cdp, tramite il Fondo Strategico Italiano, per 463 milioni. È l'altro passaggio fondamentale perché questa è la prima operazione partorita dalla gestione del presidente Claudio Costamagna e dall'ad Fabio Gallia dopo il burrascoso e imperioso ribaltone ai vertici della Cassa voluto da Matteo Renzi nel giugno scorso. La missione che il governo affida a Costamagna è quella di sganciare Saipem da Eni, per la quale sta diventando un buco nero che si mangia margini, utili e la cedola per lo Stato. Così la Cdp, che ricordiamolo, opera a leva del risparmio postale, tra i tanti dossier sul suo tavolo (come quello sulla banda larga per portare internet veloce a tutti gli italiani) sceglie di investire quasi un miliardo in Saipem, società in perdita. Ora che l'aumento è finito vediamo com'è andata, con cifre che possono risultare un poco approssimate, ma sostanzialmente corrette.

A Piazza Affari Saipem ha chiuso a 0,318 euro, sotto il prezzo di emissione dei nuovi titoli, pari a 0,362: un fallimento, perché si è arrivati al punto che, per i soci, era più conveniente comprare le azioni ieri in Borsa piuttosto che averle acquistate in opzione. Non accade quasi mai: segno che l'operazione era disperata. E infatti la capitalizzazione crolla: Saipem vale ora circa 3.600 milioni. Cioè, tolto il valore dell'aumento di capitale (3.500), i 2 miliardi iniziali sono andati in fumo. Vediamo l'effetto sui tre tipi di soci: quelli comuni partivano da un valore pari al 57,1% di 2 miliardi, cioè 1.142 milioni. Se hanno partecipato all'aumento, hanno speso 1.999 milioni, ma ieri sera se ne sono ritrovati in tasca solo 2.055. Risultato: in fumo 1.086 milioni. Se non hanno partecipato all'aumento è ancora peggio: hanno perso tutto.Caso Eni. Valore della quota prima dell'aumento: 42,9% di 2 miliardi, cioè 858 milioni. Valore ieri sera della quota ridotta al 30,4%: 122 milioni. Quindi si sono persi 736 milioni.

Ma nel mezzo Eni ha fatto tre cose: vende il 12,5% e incassa 463 milioni; partecipa all'aumento per il 30,4% e spende 1.064; incassa l'intero aumento Saipem, 3.500 milioni, a fronte del rimborso del debito. Totale: perde 736 di valore di Borsa, ma incassa 2.899 milioni. Saldo finale: +2.163. È l'effetto di essere stata una «parte correlata» dell'operazione: azionista e, nello stesso tempo, creditore.Ultimo soggetto: Cdp. La Cassa spende 463 milioni per il 12,5% e 437 milioni per sottoscrivere l'aumento di capitale. Il totale fa 900 milioni. Per una quota che ieri sera valeva in Borsa 450. Saldo: -450.Lo stesso calcolo, fatto sugli effetti sul «valore d'impresa» teorico di Saipem, produce risultati analoghi: per Eni c'è creazione di circa 1,3 miliardi; per gli azionisti comuni distruzione di circa 3 miliardi; per Cdp -200 milioni.Ricapitolando: l'operazione Saipem, studiata dal governo per aiutare Eni, è andata in porto grazie a un aumento di capitale che ha distrutto il valore esistente ai danni di azionisti di minoranza e risparmio postale. Certo, questo esito potrà essere ribaltato nel tempo. Anche se ce ne vorrà non poco, visto che i rating sul pur dimezzato debito sono giá finiti nel mirino di Moody's e di S&P. E a brindare sono anche le banche, che incasseranno commissioni record, ancora più corpose proprio in caso di downgrading. Anche se, molto probabilmente, si dovranno accollare un bel po' di quelle azioni che il mercato non ha voluto.

Un bel po' di quei 500 milioni che il mercato non ha voluto.

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