Economia

Se l'italiano sogna il posto pubblico

Ho letto i risultati di un recente sondaggio della società Swg focalizzato su «gli italiani e il lavoro», dove emerge che il lavoro più ambito dagli italiani è quello del dipendente pubblico (campione di 1.000 intervistati, maggiorenni). Nel 2016 rispondeva così il 13%, questa volta il 28%. E sono soprattutto i giovani tra i 18 e i 24 anni i fautori del lavoro stabile, dello stipendio garantito. Quella risposta ci restituisce un'Italia che si è arresa a una mentalità che sa di rendita di posizione. È come riconoscere che in questo Paese non valga più la pena mettersi in gioco, dare un senso alle proprie capacità. È la rinuncia in partenza a qualsiasi aspirazione (chiamiamolo pure sogno) per affidare il proprio destino di benessere allo Stato nelle forme che è in grado di garantire. Il rischio connaturato al costruire qualcosa appare sempre di più un orizzonte utopico e perciò non vantaggioso da perseguire.

Un Paese che ragiona così, in modo particolare tra i più giovani, è in profondo declino. Educativo e culturale, prima di tutto. Auspico, ma è un auspicio assai tenue, che tra i giovani che aspirano ad un posto nella Pubblica Amministrazione vi sia qualche soggetto capace di modernizzarla almeno un po'. Lo sviluppo di un Paese ha a che fare con imprenditori e lavoratori che tutte le mattine, secondo le proprie competenze, creano novità. Si chiama cultura del lavoro. Ed è ciò che dà dignità alla persona, genera concorrenza, determina un'economia sana.

La ricchezza e il benessere di un Paese passano di qui. Dove c'è senso di appartenenza e coraggio. Non certo nella mentalità di affidarsi in toto allo Stato. Quando lo spirito d'iniziativa si ritira per lasciare il centro della scena alla rendita di posizione non c'è presente. Ma soprattutto non c'è futuro. Da liberista convinto sono molto preoccupato.

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