Economia

Se il miglior nemico degli imprenditori è lo Stato

A fronte di un carico fiscale minore gli imprenditori sarebbero pronti a investire in tecnolgia e sviluppo, ad assumere giovani e migliorare le condizioni degli operai. Invece ci troviamo ancora una volta a chiedere la moratoria fiscale sui debiti pregressi e a minacciare lo sciopero fiscale come estrema forma di sopravvivenza

Se il miglior nemico degli imprenditori è lo Stato

Ormai è evidente: il miglior nemico di noi imprenditori si chiama Stato. E proverò a dimostrarlo facendo un discorso di testa, sebbene la rabbia e la frustrazione mi porterebbero a fare un discorso viscerale, con la pancia e col cuore.

Checché ne dica la retorica asservita e filogovernativa, il premier Renzi non ha minimamente inciso sulla pressione fiscale relativa alle imprese. È un fatto che si può constatare in primo luogo guardando i numeri: la percentuale di tasse per quanto riguarda Irap e Ires continua ad aggirarsi intorno al 44% (vedi i recenti dati dell'Osservatorio bilanci del Consiglio nazionale dei Commercialisti), per non parlare della somma complessiva di imposte su chi ha un'azienda (il cosiddetto total tax rate), che tocca addirittura il 65,4%, una delle percentuali più alte d'Europa: tradotto in soldoni, due terzi dei nostri profitti dobbiamo ancora darli allo Stato.

Ma come accennavo sopra, non è solo un fatto di numeri, ma anche di metodi. Lo Stato appare molto solerte quando si tratta di riscuotere crediti e di inviarci cartelle esattoriali, ma è molto poco efficiente quando si tratta di restituire alle aziende i debiti delle Pubbliche amministrazioni. A proposito, e qua mi rivolgo al premier Renzi, a che punto è la restituzione dei 74,2 miliardi che la Pa doveva alle aziende italiane? Lei aveva promesso di restituire il tutto entro il 21 settembre 2014. Be', è passato un anno e mezzo e, mentre il ministro Padoan giura di aver liquidato la metà del debito (36 miliardi circa su 74), lo stock del debito è lievitato di nuovo a 70 mld. Forse sarebbe il caso di farsi quella passeggiata a piedi fino a Monte Senario che aveva promesso in caso di mancato pagamento, caro premier...

Ma, per metodo, intendo anche il sistema iniquo degli studi di settore, che obbligano un imprenditore come me, attivo nel settore agroalimentare, a pagare le tasse sulla basse di una prospettiva, di una previsione, non di un reale incasso. Siamo alla futurologia applicata alle imposte, alla vessazione fiscale preventiva: “io intanto ti stango, poi vediamo se riesci a incassare tanto quanto mi hai pagato”. La dimostrazione plastica di come lo Stato voglia essere socio di maggioranza della tua azienda fintantoché le cose vanno bene, godendo di buona parte dei tuoi incassi; e sia pronto a mandarti quelle lettere minatorie che sono le cartelle esattoriali, non appena – per colpa di quello stesso Stato – diventi un contribuente non esemplare...

E dire che imprenditori come me, a fronte di un carico fiscale minore, sarebbero pronti a investire quelle risorse sottratte al fisco in tecnolgia e sviluppo, a utilizzare quei soldi per assumere giovani e migliorare le condizioni economiche degli operai; accrescendo la quantità del proprio profitto, sì, ma anche la qualità dei propri prodotti e del lavoro dei propri dipendenti. E invece ci troviamo ancora una volta a chiedere la moratoria fiscale sui debiti pregressi e a minacciare lo sciopero fiscale come estrema forma di sopravvivenza...

Aggiungo poi che il nostro nemico, purtroppo, non è soltanto lo Stato. Sono anche quegli attori che impediscono la libera concorrenza, colonizzando i territori con le proprie reti e strutture, grazie a legami “speciali” con le amministrazioni pubbliche, spesso di natura clientelare. Mi riferisco a quelle consorterie rosse, di sinistra, che bloccano il mercato, di fatto egemonizzando alcune aree geografiche e alcuni settori di commercio. E, così facendo, violano due volte i principi di libera concorrenza: innanzitutto operano grazie a rapporti, più o meno trasparenti, con il sistema politico locale che guida la macchina pubblica; in secondo luogo, bloccando i concorrenti “scomodi”, creano delle situazioni di monopolio, insopportabili in un Paese (almeno in teoria) fondato sui principi di libero mercato. Grazie a loro, si fa per dire, ho dovuto scoprire che la negazione della concorrenza non è causata dai giganti del capitalismo, come vuole la vulgata, ma proprio da chi quel capitalismo vorrebbe abolirlo....

E intanto noi imprenditori ci arrabattiamo ogni giorno, con la forza di un eroismo quotidiano, cercando di non chiudere, né la nostra azienda né il serbatoio della speranza. E spesso ci troviamo davanti a un bivio: pagare i nostri fornitori e i nostri dipendenti, oppure riversare tutti i nostri soldi allo Stato, venendo cosretti a licenziare personale e a non dare il dovuto a chi ci fornisce la materia prima? Ultimamente inizio a comprendere, e a sostenere, chi sceglie la prima strada.

Anche perché probabilmente questo Stato, visto come si comporta, non merita poi così tanto rispetto, essendo il primo a non portarlo verso i cittadini e gli imprenditori italiani.

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