Economia

Sears finisce in bancarotta vittima dello shopping online

Stretta dai debiti e con sempre meno clienti, la catena Usa cerca di evitare il fallimento con il Chapter 11

Sears finisce in bancarotta vittima dello shopping online

Su Sears sventola bandiera bianca. Piegata dal peso di debiti per 10 miliardi di dollari, messa alle strette dai creditori e con sempre meno clienti, il gigante delle vendite al dettaglio Usa s'arrende e dichiara bancarotta. Alla procedura del Chapter 11, una sorta di amministrazione controllata, sono affidate le ultime speranze di evitare di far la fine del giocattolaio Toys R Us, costretta nei mesi scorsi a chiudere baracca e burattini.

Speranze, per la verità, abbastanza deboli. Sono almeno 10 anni che lo storico marchio fondato nel 1892, un tempo icona del consumismo a stelle e strisce e santuario commerciale in cui si poteva comprare dalla spilla da balia alla cocaina (quando ancora era legale), vacilla come uno zombie col carrello. Il valore del titolo, piombato a meno di 60 cent dai 144 dollari del 2008, è l'anamnesi di un malato terminale. E dà la misura dei fallimentari tentativi di rilancio, finora tutti andati a vuoto: non è servita nè la fusione con Kmart, nè smantellare il marchio di abbigliamento Lands' End; così come non ha dato frutti la cessione della divisione utensili Craftsman a Stanley Black & Decker e, soprattutto, la chiusura di centinaia di negozi. Eppure, la strategia della saracinesca abbassata verrà usata anche stavolta: entro fine anno arriveranno al binario morto altri 142 mall, da aggiungere alle 46 eliminazioni previste per novembre. Il cartello «Chiuso per sempre» era peraltro già stato esposto nella primavera del 2018 in 103 negozi del gruppo. Non sorprende, dunque, la liposuzione cui sono stati sottoposti gli organici, scesi dai 300mila dipendenti di un decennio fa agli attuali 68mila. Tagli inevitabili a fronte della picchiata continua delle vendite negli ultimi cinque anni, la metà dei circa 40 miliardi che ancora affluivano nei registratori di cassa fino al 2013. Meno clienti significa anche minore liquidità per pagare i fornitori, molti dei quali - annusata l'aria - hanno cominciato a pretendere condizioni di pagamento più stringenti, mentre altri - come Whirlpool - hanno deciso di sospendere la consegna delle merci.

Sears è un'altra vittima della cosiddetta retail apocalypse, il fenomeno che sta decimando il settore del commercio al dettaglio negli Usa. Solo quest'anno, 14 gruppi hanno chiesto di finire sotto la tutela del Chapter 11, tra i quali Claire's (gioielli), The Walking Company (scarpe), Toys R Us e Remington (armi). Come si vede, la crisi è trasversale e non risparmia alcuna specializzazione merceologica. Dopo i 6.400 negozi che hanno tirato giù le serrande nel 2017, altre 3.800 chiusure sono attese quest'anno. Se solo si ragiona sul fatto che l'ultimo anno archiviato in utile da Sears è stato il 2010, si capisce quanto la crisi abbia radici lontane e non sia unicamente riconducibile all'affermazione dei giganti delle vendite online come Amazon o Alibaba. Le grandi catene tradizionali hanno commesso l'errore di sottovalutare all'inizio le potenzialità dello shopping sul web e hanno in seguito continuato a sbagliare, investendo milioni di dollari nel solo restyling dei negozi fisici. Ma, soprattutto, non hanno intuito il cambio di abitudini dei consumatori: legato in parte alla comodità dell'acquisto da casa, ma anche retaggio della crisi iniziata nel 2008. La compressione dei salari, fenomeno che non ha risparmiato neanche quella middle class da sempre pilastro delle spese private, ha creato un imperativo: spendere meno. E proprio questo offrono Jeff Bezos e Jack Ma. Per provare una giacca o un cappotto, da acquistare poi in rete, ci sono i camerini dei negozi fisici.

Almeno fino a quando non saranno tutti chiusi per bancarotta.

Commenti