Economia

«La stretta Bce è una iattura Le pmi non avranno più credito»

L'esponente di Confcommercio: «Dal 2014 finanziamenti già in calo del 10%. Bene Tajani, occhi puntati sull'8 novembre»

Antonio Signorini

Roma «Una iattura». Il commercio ha riservato alle nuove linee guida della Banca centrale europea sulle sofferenze bancarie la reazione più netta e negativa. Paolo Ferrè, membro della giunta esecutiva di Confcommercio, specializzato in problemi del credito, spiega al Giornale che la stretta sugli Npl non poteva cadere in un momento peggiore. «Sembrava che le banche avessero ricominciato a finanziare le imprese, in particolare le micro. Da un nostro studio è emerso che rispetto al 2014 l'erogazione del credito è salito di dieci punti».

Momento pessimo, anche perché «già in marzo c'erano stati degli inasprimenti della normativa sui crediti deteriorati. Un'ulteriore stretta renderà impossibile accedere al credito».

Le nuove norme annunciate da Francoforte non sono in vigore. Riguardano soprattutto i crediti futuri. Eppure il mondo delle imprese sa benissimo che gli effetti saranno generalizzati. «Vero che si applica al crediti deteriorati, ma gli accantonamenti per il 100 per cento di quelli non garantiti condizioneranno le banche al punto che ne soffrirà anche il credito ordinario. Anche le imprese in bonis avranno difficoltà».

Un «pregio» delle novità emerse dalla Banca centrale, è che hanno fatto emergere le difficoltà delle banche. «Siamo usciti dal luogo comune delle banche cattive. Con le regole di Basilea 1 la banca era quell'organizzazione che ti dà l'ombrello quando non piove e te lo toglie quando inizia a cadere la pioggia. Con Basilea 2 le banche non sono in condizione di erogare nemmeno alle imprese che lo meritano».

Per una volta la protesta è generalizzata e tocca categorie che spesso non sono d'accordo. Ferrè conta sulla contrarietà già espressa dai banchieri dell'Abi. E punta sulla consultazione tra le associazioni e la Bce, in agenda per l'8 novembre. «Presenzieremo come Rete imprese Italia», cioè la confederazione delle organizzazioni del commercio, dei servizi, della cooperazione e dell'artigianato, «Spiegheremo le nostre ragioni. Che non sono solo tutela di interessi i parte, peraltro legittimi».

La ripresa del commercio «fa bene all'occupazione, significa centri cittadini più popolati e quindi più sicuri, significa più gettito locale e nazionale, più servizi alle categorie deboli». Non è un caso che l'opposizione alle nuove norme sia venuta da mondi diversi.

Particolarmente apprezzato l'intervento del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, che ha scritto al presidente della Bce Mario Draghi per chiedere più rispetto verso chi detiene il potere legislativo, quindi le assemblee elettive.

Non è un caso che il commercio italiano si sia schierato contro fin da subito. «Le nuove norme penalizzano soprattutto l'Italia. All'estero c'è stata una proliferazione dei centri commerciali, noi siamo ancora terra di campanili e di piccolo commercio. Di piccole aziende, che poi sono quelle più colpite dalle nuove linee guida». Alle aziende l'onere di spiegare a Francoforte che così, l'Italia non aggancerà la ripresa.

E, forse, nemmeno il resto d'Europa.

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