Economia

Trump fa un altro regalo alla Corporate America: trimestrali da rottamare

Il presidente spinge per il sistema semestrale. "Dà più flessibilità e consente di risparmiare"

Trump fa un altro regalo alla Corporate America: trimestrali da rottamare

Pubblicare lo stato dei conti, ogni maledetto trimestre, nuoce gravemente alla salute. Degli affari. Meglio dunque rottamare l'ormai vetusta norma che obbliga le aziende Usa quotate alla rendicontazione per quarter. Pur impegnatissimo ad affibbiare dazi ai rivali commerciali e a imporre sanzioni punitive ai Paesi non abbastanza allineati, Donald Trump ha trovato anche il tempo per accogliere i desiderata della Corporate America durante le vacanze trascorse nel suo golf club privato a Bedminster, nel New Jersey. Lì, tra un birdie col ferro 5 e una buca mancata, ha avuto modo di parlare con la crème de la crème del business a stelle e strisce, compresi i capi di Apple, Fca, Boeing, FedEx e Honeywell. Risultato? Lo ha spiegato proprio l'inquilino della Casa Bianca, con l'ormai immancabile tweet: «Ho chiesto cosa renderebbe il business ulteriormente migliore in Usa. Mettere fine alla pubblicazione trimestrale e passare a un sistema semestrale, ha detto uno. Ciò permetterebbe una maggiore flessibilità e risparmi. Ho chiesto alla Sec di studiare» una simile proposta.

The Donald non può infatti imporre nulla, essendo l'omologa della nostra Consob un'autorità indipendente come la Federal Reserve. E la richiesta di rottamare quello che dal 1970 (anno in cui venne abbandonata la pratica della divulgazioni delle semestrali, in vigore dal 1955) è uno dei capisaldi della trasparenza nelle comunicazioni societarie, rischia di schiantarsi contro l'iceberg formato da chi, all'interno della Commissione, è un fermo sostenitore di un forte governo societario. A molti, inoltre, la proposta potrebbe suonare come il tentativo di togliere altri vincoli a Wall Street dopo il parziale annacquamento subìto dal Dodd-Frank Act, la legge introdotta dopo i disastri dei mutui subprime per mettere un freno alle scorribande finanziarie. Per la verità, non è la prima volta che qualcuno cerca di mandare in soffitta la pratica delle trimestrali. Questo era stato un pallino, durante la campagna per le presidenziali del 2015, di Hillary Clinton con la promessa di riforme per «aiutare gli amministratori delegati e gli azionisti a concentrarsi sul prossimo decennio e non solo sul giorno successivo».

Dal punto di vista delle aziende, l'eliminazione dell'attuale scadenza ha uno scopo preciso: spostare l'attenzione dagli obiettivi di corto respiro a quelli a lungo termine, come già spiegato lo scorso giugno sia dal numero uno di JP Morgan, James Dimon, sia da quello di Berkshire Hathaway, Warren Buffett. Secondo i quali l'appuntamento con le trimestrali - e quindi con il raffronto rispetto alle attese sugli utili - costringe le imprese a tenere a freno spese, assunzioni, ricerca e sviluppo di cui hanno bisogno per crescere nel lungo termine. L'obbligo di confrontarsi con analisti e azionisti ogni tre mesi sarebbe anche, seppur solo in parte, responsabile del recente calo del numero delle aziende quotate in Borsa.

Tutta questa attenzione verso la parte più industriale (gli investimenti, la R&S e gli organici, appunto) appare però abbastanza singolare, visto che arriva da coloro che hanno fatto della pratica dei buyback, dei bonus e dei ricchi dividendi un modus operandi per arrivare al profitto.

Nel breve, anzi brevissimo, termine.

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