Economia

Uber quotata a Wall Street vale 120 miliardi di dollari

Il valore attribuito alla società è pari a quello di Fca, Gm e Ford messo assieme. L'Ipo entro il prossimo anno

Uber quotata a Wall Street  vale 120 miliardi di dollari

Uber vale 120 miliardi di dollari. Il calcolo non è stato fatto da un ragioniere affetto da dislessia da numeri, ma da due colossi come Goldman Sachs e Morgan Stanley. La cifra, propedeutica a un eventuale sbarco a Wall Street e rivelata dal Wall Street Journal, è comunque strabiliante: solo un paio di mesi fa la società californiana di servizio taxi con auto private era stata stimata la metà e, soprattutto, rappresenta una cifra superiore al valore di Fca, Ford e General Motors messe assieme. Non male per un'azienda afflitta da perdite attorno al miliardo ogni trimestre e che, in base alle proiezioni del management, non diventerà profittevole per almeno i prossimi tre anni.

L'ingresso sul mercato azionario Usa è previsto entro il 2019, e dovrebbe essere sollecitato da un accordo che consente al gruppo di investitori che ha versato 100 milioni nella società per almeno cinque anni di vendere le proprie quote sul mercato secondario se la scadenza non sarà rispettata. Una mossa che rischierebbe di danneggiare il potere di Uber di controllare il prezzo al quale intende collocare i titoli in vista della quotazione.

Ora, è evidente che più è alto il prezzo delle Ipo, e più le banche d'affari incassano laute commissioni. Qui c'è però in ballo l'attribuzione di un valore che sembra frutto di una scommessa: non tanto sul core business di Uber, destinato comunque a essere potenziato dallo sviluppo di start up come la cinese Didi Chuxing e l'indiana GrabTaxi, quanto sul potenziale di crescita delle attività collaterali. A cominciare da UberEats, una sorta di ristorante a domicilio che conta di raggiungere quest'anno i 6 miliardi di ricavi e di iscrivere a bilancio un utile molto prima della sua controllante. UberEats è stata valutata 20 miliardi, il doppio rispetto ai rivali di Grubhub.

Ma 120 miliardi di dollari restano tuttavia tanti, forse troppi. A meno che questa stima non sia un modo per accaparrarsi la benevolenza dell'Arabia Saudita, che controlla da inizio anno proprio Uber attraverso il fondo sovrano Vision. I rapporti tra Washington e Ryad, a causa del caso Kashoggi, sono ora ai minimi storici. Ma tutto potrebbe aggiustarsi nei prossimi mesi visto gli interessi finanziari che legano i due Paesi. A quel punto, potrebbe sbloccarsi la quotazione finora rimasta in sospeso di Aramco, la compagnia petrolifera saudita. È un piatto ricchissimo: il 5%, cioè quanto il principe ereditario Mohammed bin Salman avrebbe intenzione di collocare sul mercato, vale almeno 100 miliardi, quattro volte l'esordio a Wall Street di Alibaba. Finora, lo sbarco in Borsa di Aramco è stato rinviato perché secondo l'Arabia non sono ancora maturate le giuste condizioni. Ma il Paese continua ad avere bisogno di cash per ripianare le perdite di bilancio, causate soprattutto negli anni scorsi dal crollo dei prezzi del petrolio, e prima o poi compirà il grande passo.

Un'Ipo che ogni merchant sogna di gestire.

Commenti