Economia

Ubi balla da sola e lancia il «bancone»

Le banche reti fuse nella capogruppo. Obiettivo 870 milioni di profitti nel 2020

Massimo Restelli

Accantonata, per il momento, l'idea di sposarsi, Ubi Banca cancella il modello federale in favore del «Bancone» e punta a raggiungere un utile netto superiore a 870 milioni nel 2020, contro i 117 milioni del dicembre scorso. Il nuovo piano industriale, che rappresenta appunto la risposta dell'istituto alle nozze tra Banco Popolare e Bipiemme da cui nascerà entro dicembre il terzo polo del credito nazionale, è stato presentato ieri dall'ad Victor Massiah mentre Piazza Affari colpiva ancora il titolo (-6,35%) con la scure della Brexit (-20% lo score di venerdì). «Penso sia una dimostrazione di forza» presentare il piano dopo l'addio all'Europa uscito dalle urne del Regno Unito, ha detto Massiah. La stessa Ubi si ripromette però di dimezzare il peso di Bot e Btp in portafoglio, riducendone di 11 miliardi lo stock entro quattro anni. La spending review del piano, che include il salto al Bancone, vale invece 400 milioni così da ridurre i costi operativi da 2,3 a 1,9 miliardi: l'utile netto del 2019 dovrebbe così essere 730 milioni con un Rote (il ritorno sul capitale tangibile) del 9,4 per cento. In parallelo saranno chiuse 280 filiali (di cui 130 per la fine delle sette banche reti), mentre 4 sportelli su dieci saranno rinnovati (350 cashless) liberando addetti per la vendita. Dal punto di vista del personale sono previsti 2.750 esuberi volontari e, come pegno in cambio dell'ok dei sindacati alle uscite, 1.100 assunzioni tra i giovani. A fare a contraltare a 540 milioni di investimenti, ci sono poi rettifiche sui crediti per 900 milioni.

Il riassetto, che comunque preserva tutte le insegne delle banche reti, prevede poi il riacquisto delle partecipazioni di minoranza, con l'effetto di proiettare sia la Fondazione di Cuneo (oggi azionista al 24,9% di Banca regionale europea) sia quella della Fondazione Banca del Monte di Lombardia (16,2% di Comindustria) rispettivamente al 5,9% e al 5,2% del capitale di Ubi. Un piccolo argine al peso dei fondi per la prima popolare italiana che ha applicato la riforma Renzi, diventando «spa». La diluizione per gli altri azionisti di Ubi è pari al 7,8% (75,8 milioni le azioni che saranno emesse).

Complice i costi del piano, il semestre sarà però in rosso. Quanto ai dividendi, Massiah prospetta però una cedola «almeno in linea» con quella del 2015 dato che il patrimonio rimarrà ampiamente superiore al requisito posto dalla Bce con gli esami Srep: il Cet 1 «fully loaded» dovrebbe passare dall'11,6% del 2015 a oltre il 12% nel 2019 e al 12,8% a fine 2020. Il nuovo piano poggia quindi sulla distribuzione di dividendi, con un pay-out superiore al 40% sull'utile. Il nome di Massiah è stato inserito dai cacciatori di teste tra i potenziali papabili a subentrare a Federico Ghizzoni al vertice di Unicredit.

«Non ho ricevuto nessuna offerta dal cda di Unicredit», ha detto il banchiere.

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