Economia

Ubi, Bazoli e Zanetti nel mirino della procura

Rischio rinvio a giudizio per 39 persone, faro sulla regia delle nomine. La banca: nessun reato

Ubi, Bazoli e Zanetti  nel mirino della procura

Erano riunioni fasulle, dice la Procura di Bergamo, quelle di Cds e Cdg della «vecchia» Ubi, precedente alla trasformazione in spa. Perché le decisioni più importanti della banca venivano prese fuori dagli organi societari, grazie agli accordi di ferro tra le due anime della compagine, i bresciani e i bergamaschi. E questo è un reato, perché in questo modo si impedisce un controllo reale sulle attività dell'istituto di credito.

Sono le considerazioni in base a cui, al termine di una lunga indagine, la procura orobica si prepara a portare a processo 39 persone: a partire da Giovanni Bazoli, grande vecchio della finanza cattolica, tuttora presidente emerito di Intesa Sanpaolo. A Bazoli viene attribuito il «concorso consapevole» con i vertici di Ubi - in testa l'ad Victor Massiah - nell'ostacolare gli organi di Vigilanza. A Bazoli e altri cinque (tra cui sua figlia Francesca) la Procura contesta di avere agito «quali componenti della cabina di regia che sul lato bresciano, mediante il loro contributo, decideva le nomine degli organi della banca e delle sue partecipate in condivisione con quelle decise dalla commissione Zanetti, costituita sul lato bergamasco». Il dominus della commissione era Emilio Zanetti, anche lui incriminato.

«Tutti questi soggetti - scrivono i pm Walter Mapelli e Fabio Pelosi nell'avviso di conclusione delle indagini - consapevoli di un patto parasociale sussistente tra le associazioni Ablp e Amici di Ubi Banca (direttamente e di fatto riconducibili a Giovanni Bazoli ed Emilio Zanetti), avente per effetto un'influenza dominante sul suddetto gruppo bancario anche mediante l'esercizio del voto concertato negli organi societari», avrebbero ostacolato a lungo e ripetutamente Consob e Bankitalia, e sarebbero intervenuti nella vita interna della banca. Creando in vista dell'assemblea dei soci del 2013 - quella in cui Giorgio Jannone e Andrea Resti tentarono di espugnare il cda presentando due liste di opposizione - «un apparato organizzativo volto all'aggregazione del consenso in favore soltanto» della cosiddetta lista 1, quella presentata dal Cds. Il tutto «mediante una massiccia e strutturata raccolta di deleghe di voto». Bazoli, insieme ad altri è accusato di influenza illecita sull'assemblea «mediante la predisposizione di deleghe in bianco o mai rilasciate», «allo scopo di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto ovvero l'accesso alle cariche societarie» con tutti i vantaggi anche economici. A Bazoli viene contestato inoltre di avere mantenuto in conflitto d'interessi sia la presidenza di Intesa che il potere di fatto in Ubi.

Ubi, anche essa indagata come persona giuridica, rivendicava ieri sera la correttezza del proprio operato, e così pure il suo ad, Massiah.

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