Economia

Del Vecchio accelera sulle Generali

«Salirò in maniera consistente». Caltagirone compra ancora. E Mediobanca non venderà

Del Vecchio accelera sulle Generali

«Quello in Generali è per Delfin un investimento finanziario a lungo termine, particolarmente interessante ai prezzi attuali e pertanto destinato a salire in maniera consistente». Più chiaro di così Leonardo Del Vecchio non poteva essere. Il patron della Luxottica, che dopo l'operazione Essilor è diventata la fabbrica degli occhiali del pianeta, è appena passato dal 3,3 al 3,4% del capitale. Ma con la dichiarazione di ieri sembra puntare almeno al 5%. La stessa quota che è alla portata di Francesco Gaetano Caltagirone, salito a sua volta dal 4,4 al 4,5%. E che, secondo quanto risulta al Giornale, pronto a crescere ancora. C'è poi il terzo pilastro, i Benetton, arrivati al 3% e al momento impegnati a superare lo choc della scomparsa di Gilberto, ma sulla stessa linea. Anche perché, con il titolo tra 13 e 14 euro, si compra a sconto del 20% rispetto ai massimi di qualche tempo fa.

La determinazione di Del Vecchio, però, va segnalata perché può indicare un trend nuovo all'interno della compagnia triestina. Il cui primo socio resta Mediobanca, con il 13%, destinato a scendere entro giugno al 10%. Ma non a questi prezzi: facile immaginare che l'operazione slitterà. E proprio con Mediobanca Del Vecchio ha avuto recenti tensioni su un'altra partita: quella dello Ieo (l'Istituto europeo di oncologia, la creatura di Umberto Veronesi), presentando un piano di sviluppo, insieme con Unicredit, che la stessa Mediobanca non ha gradito. Si tratta di suggestioni, ma l'impressione che si raccoglieva ieri in ambienti finanziari è che l'uscita di Del Vecchio punti anche a compattare gli imprenditori di Generali intorno a un pacchetto che presto sarà superiore a quello di Piazzetta Cuccia. E forse anche a un progetto. A cominciare dalla nomina del futuro presidente della compagnia: Gabriele Galateri, in scadenza in aprile, non è rinnovabile per i limiti d'età statutari. In ogni caso non ci sono contrasti sull'ad Philippe Donnet, sostenuto da tutti, come ha ribadito anche Del Vecchio.

Ma al di là dei futuri equilibri azionari, quel che balza all'occhio è la convinzione che Generali torni a rappresentare il grande investimento italiano. Combinando di nuovo due elementi chiave: la centralità nel sistema finanziario e la redditività. D'altronde è lo spread di questi giorni a fare selezione e a suggerire la compagnia triestina come il forziere più sicuro e strategico del sistema Italia. Non solo per i 64 miliardi Btp in pancia, ma anche perché questi pesano per meno del 13% sui 490 miliardi di asset totali. Mentre il business della compagnia è da un lato molto diversificato tra Italia ed estero, dall'altro ben bilanciato tra le componenti vita e danni.

Non è un caso che Moody's, dopo aver tagliato il rating del debito italiano da Baa2 a Baa3, non abbia invece toccato quello del Leone, rimasto addirittura a Baa1. Diversa, per esempio, la sorte di Unipol Sai, seconda compagnia italiana, che invece ha avuto il proprio rating abbassato come quello della Repubblica. In termini di sistema e, se si vuole, di potere, Generali torna a essere il posto dove è giusto stare se si è un grande imprenditore e se si è italiani. Questo posto non è più nelle banche, la cui instabilità, nel regno del debito pubblico, è ormai cronica: lo dimostra lo spread di questi mesi. O lo si vede in Borsa: dal 1 giugno (nascita del governo gialloverde) a ieri Generali ha ceduto il 3,5%; Unicredit quasi il 30%; Intesa più del 25%.

Per quanto riguarda i programmi del futuro, se ne saprà di più tra un mesetto, all'investor day del 21 novembre a Milano.

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