Economia

Wall Street ai massimi, allarme bolla

I titoli sopravvalutati come nel crac del '29. Prezzi drogati anche per l'indice di Buffett

Wall Street ai massimi, allarme bolla

Bomba o non bomba, oppure bolla o non bolla? L'escalation della tensione tra Stati Uniti e Nord Corea, con la scoperta dell'ordigno nucleare tascabile nelle mani di Pyongynan, ha tenuto anche ieri in ostaggio i mercati. Non tutti, però. Le vendite si sono concentrate sulle Borse asiatiche e su quelle europee (Milano -1,51%, Madrid -1,60% e ribassi attorno al punto percentuale per Londra e Parigi), l'euro è risalito sopra 1,18 dollari e lo spread tra Btp e Bund ha strappato leggermente fino a chiudere a 165 punti, quattro in più di giovedì scorso. Nel complesso, un quadro non da panico. Men che meno a Wall Street. Lì, dopo tre sedute di fila a tirare il fiato - una pausa fisiologica che ha fatto seguito a ben nove record consecutivi - , la corsa al rialzo sembra ripartita malgrado la retorica guerrafondaia di Trump e Kim Jong Un. Il Dow Jones (+0,10% alle 21 ora italiana) e il Nasdaq (0,52%) restano a un'incollatura dai massimi storici e alimentano i timori di quanti, convinti che il mercato azionario Usa sia avvolto in una gigantesca bubble, prefigurano disastri imminenti.

D'altra parte, i segnali di un mercato sopravvalutato non mancano. Uno di questi arriva dall'indice messo a punto dal premio Nobel Robert Shiller, noto come Cape Ratio e considerato una rivisitazione più accurata del classico rapporto tra quotazioni e utili societari: ora sfiora i 30 punti. È un valore assai elevato, con una similitudine sinistra con il picco raggiunto prima del crac del '29 (il famigerato Black Tuesday) e superiore sia ai livelli toccati nel periodo antecedente il Lunedì nero dell'ottobre '87, quando Wall Street collassò in una sola seduta del 26%, sia a quelli raggiunti all'inizio della crisi dei mutui subprime. Insomma, il Cape Ratio sembra annusare con precisione gli squilibri tra i profitti di un'azienda e la sua valutazione sul mercato. I critici, però, fanno notare un particolare: i picchi attuali non tengono conto del fatto che il calcolo sugli utili - eseguito su base decennale - ha come punto di partenza il 2007. Ovvero l'inizio della Grande recessione, un periodo in cui i margini delle imprese si sono fortemente assottigliati, contribuendo ad allargare la forbice tra profitti e corsi azionari.

In effetti, potrebbero non avere tutti i torti. Anche se un altro «fiuta-bolle», sviluppato nel 2001 da Warren Buffett e basato sul rapporto tra capitalizzazione e Pil («Probabilmente il miglior modo di misurare le valutazioni di mercato in un dato momento», ha sentenziato l'Oracolo di Omaha), arriva alla stessa conclusione: l'indicatore è al 131,8%, non molto distante dal 151% in cui si trovava allo scoppio della bolla delle dot.com nel 2000, e parecchio lontano dai valori ottimali, compresi tra il 70 e il 90%.

Ma per quanto possa essere elevato il picco raggiunto da Wall Street, c'è sempre la possibilità che la Federal Reserve sia in grado di guidare il mercato verso una correzione non traumatica. Motivo per cui, nei prossimi mesi, le mosse della banca centrale dovranno essere perfettamente calibrate per natura e tempistica. Non fosse altro perché è proprio la Fed ad aver agevolato la corsa ai record borsistici con politiche espansive che hanno incentivato il riacquisto delle azioni proprie, la pratica che ha concorso a gonfiare i prezzi dei titoli. Se già appare accantonata l'opzione di un rialzo dei tassi in settembre, non è da escludere che il mese prossimo Janet Yellen rimandi anche l'avvio della riduzione del bilancio.

L'inflazione ferma (+0,1% in luglio) è il comodo alibi per non fare niente.

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