Economia

Raffica di minacce su Atene: "Intesa o dure conseguenze"

La Ue alza la voce: "Se Atene vuole i soldi, completi il programma". Pressing di Washington: "È l'ora dei fatti". E Fitch fa leva sullo spauracchio del rating

Raffica di minacce su Atene: "Intesa o dure conseguenze"

Le trattative fra la Grecia e l’Eurogruppo minacciano di saltare definitivamente. Ferma restando la scadenza fissata dall’Eurogruppo per venerdì, Atene è ancora all’interno di un programma di assistenza ufficialmente fino al 28 febbraio. Con la Bce che pare intenzionata a non "staccare la spina" alle banche greche al consiglio direttivo di domani, ciò vuol dire che Tsipras e Bruxelles hanno ancora in teoria un paio di settimane di ossigeno. Intanto l'Unione europea, gli Stati Uniti e le agenzie di rating sono già passati alle minacce per obbligare il premier Alexis Tsipras ad accettare i diktat della Troika.

Domani la Grecia presenterà agli uffici dell’Eurogruppo la richiesta di estensione del prestito da parte delle autorità europee. Una richiesta che già allertato le massime istituzioni internazionali. "Nell’attuale programma di aiuti - ha avvertito il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis - ci sono ancora dei fondi ma se la Grecia li vuole deve concludere il programma e le valutazioni periodiche perché è quella la condizione per avere i fondi". Anche gli Stati Uniti sono scesi in campo nello stallo delle trattative greche. Il segretario del Tesoro Jack Lew ha avvertito il ministro delle Finanze ellenico Yanis Varoufakis di "immediate difficoltà" senza un accordo. "È il momento di trovare un sentiero costruttivo in accordo con il Fmi e i ministri europei delle finanze", ha detto Lew nel sottolinando come "l'incertezza non è una cosa buona per l’Europa". Incertezza che ha messo in allerta pure le agenzie di rating. Secondo Fitch, "la continua politica del rischio calcolato" che sta caratterizzando il negoziato fra la Grecia e i creditori "comporta un aumento dei rischi per il profilo di credito sovrano".

La prima conseguenza di una rottura definitiva rischia di passare in primo luogo per il sistema bancario. Dopo che la Bce ha tagliato fuori gli istituti greci dai rifinanziamenti diretti, le banche elleniche sono appese ai prestiti d’emergenza che ricevono dalla banca centrale greca in cambio di garanzie in titoli di Stato. La fuga dei correntisti dalle banche, già in corso da settimane, accelererebbe a dismisura nel caso di una rottura, sul timore di un’uscita dall’euro e di una ridenominazione futura dei depositi in altra valuta. La Bce si troverebbe di fronte al bivio se tappare la "falla" di liquidità dei depositi, che a dicembre ammontavano a 244 miliardi, agendo da prestatore di ultima istanza. Oppure chiudere anche questa fonte di finanziamento decretando il probabile fallimento di una serie di istituti di credito. La decisione della Bce dipenderebbe dalle prospettive di un accordo futuro e di permanenza della Grecia nell’euro. Per fermare la fuga dalle banche e cercare di restare nell’euro, la Grecia potrebbe imporre restrizioni ai movimenti di capitali. Ma dovrebbe passare per un’autorizzazione della Commissione europea che, di fronte al muro contro muro, non è affatto scontata.

In assenza di un nuovo prestito, la Grecia diventerebbe probabilmente insolvente di fronte alle scadenze in arrivo: già il 24 febbraio 595 milioni di bond da rimborsare, agli inizi di marzo prestiti del Fmi per oltre un miliardo. Sarebbe la decretazione di un default vero e proprio esteso ai creditori privati, non una ristrutturazione pilotata come in precedenza. Per la Grecia vorrebbe dire essere tagliata fuori dai mercati internazionali senza l’ombrello protettivo della Ue e della Bce. L’uscita dall’euro sarebbe praticamente inevitabile per un Paese costretto, semplicemente per pagare le pensioni, a far funzionare la macchina pubblica, acquistare petrolio o medicinali, ad emettere nuova moneta. Si parla di un "piano B" di Atene per restare nell’euro e fare da spina nel fianco dell'Unione, attraverso l’emissione di una sorta di pagherò denominati in euro: una specie di valuta parallela. Che difficilmente, però, avrebbe successo di fronte a una probabile svalutazione massiccia, alla necessità di ricapitalizzare le banche e alla posizione della Bce, probabilmente costretta a revocarne le licenze.

Resta la sopravvivenza, ed eventuale la permanenza nell’euro, attraverso finanziamenti esterni.

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