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EDITORIALE Se anche gli imprenditori sono in balìa di una donna

Ma di che si occupa la Confindustria? Berlusconi, provvisoriamente sottrattosi al suo mestiere di imputato, dice che bisogna dare una frustata mai vista prima al cavallo dell'economia. Ed Emma, che fa?

EDITORIALE Se anche 
gli imprenditori sono 
in balìa di una donna

Ma di che si occupa la Confindustria? Berlusconi, provvisoriamente sottrattosi al suo mestiere di imputato, dice che bisogna dare una frustata mai vista prima al cavallo dell'economia, con un piano per il Sud e per la casa, deregolamentazioni e liberalizzazioni, una riforma costituzionale. Ed Emma, che fa?
Emma Marcegaglia è simpatica, di buone maniere e tutt’altro che sprovveduta. Quando progettavano di eleggerla capo di Confindustria, dopo Montezemolo, dissi (e scrissi): che errore. Mi sembrava che alla testa degli imprenditori associati ci volesse un tipo o una tipa alla Marchionne, il manager che ha portato la Fiom a escludersi da Mirafiori firmando con chi ci stava un contratto il cui scopo è liberare la dialettica sociale in fabbrica, aumentare i salari e la produttività del lavoro (e i profitti e gli investimenti e tutto il resto). Come al solito non mi hanno ascoltato: io sono l’uomo meno ascoltato d’Italia, si vede che non mi so spiegare. Ma il risultato, mi spiace, è questo: Marcegaglia è al termine del suo doppio mandato e la Fiat è fuori da Confindustria, pare perfino che stia per trasferirsi a Detroit, la crescita del Paese è allo 0,8 per cento, abbiamo vissuto per un anno e mezzo di cassa integrazione (benone, ma non è proprio una bonanza per il lavoro e lo sviluppo).
Immagino che il cruccio degli imprenditori sia il divario tra la nostra crescita e quella tedesca. Lo spero, almeno. Noi siamo, appunto, a più 0,8 per cento, i tedeschi sul 3,6 per cento. È vero che i crucchi non hanno il nostro elefantiaco debito pubblico. È vero che il loro miracolo, il Wirtschaftswunder, dipende anche da fattori nazionali irripetibili ed è insidiato da difetti rilevanti, ma il nostro ristagno continua penosamente da molti anni; e quando non cresce l’economia non si investe, non si attirano investimenti dal mondo, non si crea lavoro qualificato, non si fanno profitti, non si ingaggia il Sud in un progetto in cui ci sia anche il lavoro qualificato per i giovani, non si pagano salari adeguati, non si consuma, non si fa ricerca, non si innova e il debito pubblico, tra gli altri mille lacci, fa la sua brava parte nel soffocare lo sviluppo e la creazione di ricchezza. E, oltretutto, cresce inesorabilmente e autorizza gli autorevoli parrucconi della prima Repubblica, e sulla loro scia mezzo Pd veltroniano, a progettare il colpo gobbo di una bella patrimoniale. Di questo bilancio insostenibile il governo, che pure ha tenuto i conti in ordine e ha fatto un terzetto di riforme da sballo (pensioni, università e federalismo), si è accorto. Marcegaglia no.
La settimana che ci lasciamo alle spalle si era aperta lunedì con la proposta di un piano nazionale per la crescita da parte di un imprenditore che è alla guida del governo, e si è chiusa venerdì con la cancelliera del miracolo tedesco che ha imbastito a Bruxelles il nuovo pensiero sullo sviluppo in Europa, chiedendo a tutti di conformarsi al ciclo virtuoso che unisce un bel pezzo dell’area dell’euro al centro-nord italiano, con le sue regioni bavaresi. A marzo in Europa si decidono nuove regole: o saranno affrontate con una poderosa spinta all’aumento del Prodotto interno lordo, la famosa frustata, oppure dovremo subire nuove tasse e una stretta che il cavallo lo ammazza. A parte una timida e formale dichiarazione, in questi sette giorni la Marcegaglia si è distratta, e adesso tira fuori dal cappello il coniglio di una polemica, non del tutto campata per aria ma periferica, sulla festa con i pasticcini per i centocinquant’anni dell’Unità italiana. Lavoro, guadagno, spendo, pretendo: siamo pieni di comprensione, l’imprenditore medio non vuole offrire un pranzo gratis a Garibaldi e Cavour, ma quand’è che Confindustria torna a essere una grande lobby capace di influire sull’andamento dell’economia, magari con l’ambizione di dare una mano al rilancio italiano?
Riassumendo. Secondo Berlusconi bisogna agire per portare l’incremento della ricchezza al 3-4 per cento in cinque anni. Mi dicono che nel governo c’è chi ride della cosa e che il Cav si è già messo paura della propria audacia: ma, se si irride un obiettivo così evidentemente necessario, e per giunta possibile, è meglio affidare il Paese a Giuliano Amato e a Pellegrino Capaldo, impazienti di mettere le mani in tasca ai ceti medi e di porre una bella ipoteca di Stato sulle loro abitazioni.

Sia come sia, questo obiettivo di crescita la Confindustria lo condivide? È interessata agli stati generali dell’economia promessi e promossi da Berlusconi entro la fine di febbraio? Piace agli imprenditori edili il piano casa il cui obiettivo è di attivare cinquanta miliardi di euro di investimenti? Gli imprenditori del Sud, che si sono associati con coraggio alla campagna contro le mafie e per la sicurezza fatta dal governo e da Maroni, non sarebbero contenti di raccoglierne i frutti? Deregolamentare l’economia con una riforma costituzionale che elimini la parte sovietica della Costituzione non è interesse generale e anche interesse dei buoni borghesi del XXI secolo? La Confindustria è un’associazione per lo sviluppo di un capitalismo liberale di mercato o è diventata un pigro centro di spesa improduttiva e di mediazione corporativa? Secondo me gli imprenditori che pagano le quote e lavorano nelle loro aziende questa domanda se la fanno. E la risposta?

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