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Dopo la rivoluzione, due anni di viaggi nell'Egitto di al-Sisi

Il post-rivoluzione non ha portato ciò che sognavano i ragazzi di piazza Tahrir, ma il Paese - e il regime - ne sono usciti comunque cambiati

Una vista del Cairo dal ponte di Kasr el-Nil
Una vista del Cairo dal ponte di Kasr el-Nil

L'apparire delle acque del Nilo tra le case della megalopoli ha lo stesso effetto di quando si arriva assetati in un oasi. Gli occhi rimangono abbagliati dai suoi colori e dalla suo scorrere tranquillo. Capire l'Egitto di oggi è un esercizio complesso e dopo due anni e mezzo di viaggi si comprende che l'unico modo è girare il più possibile tra le sue strade, mischiarsi con le persone, frequentare personalità con una giusta chiave di interpretazione. La parola chiave potrebbe essere "ambiguità". L'Egitto post-rivoluzionario non è quello che sognavano i ragazzi di piazza Tahrir, ma non è nemmeno lo stesso regime di prima.

La rivoluzione si è dimostrata una tempesta in cui si sono susseguite più ondate, alcune pacifiche, altre di una violenza rara. È però evidente che l'Egitto del generale Al Sisi, circondato da paesi come Libia, Siria e Iraq, che si sono liquefatti nel nulla, è una delle nazioni più stabili della regione, questo nonostante i morti di questi anni, gli attentati degli islamisti, la cieca violenza della polizia contro i manifestanti e le spietate sentenze di massa contro gli oppositori sia islamici che laici. Questo perché, almeno per ora, tutti questi avvenimenti drammatici, restano episodi isolati in un paese di ottanta milioni di persone di cui la maggior parte povere e analfabete. Chiunque viaggi in Egitto rimarrà sorpreso dalla calma che troverà. È da questi fatti che bisogna partire per capire perché i rivoluzionari del Cairo hanno perso con il tempo il sostegno del paese profondo. All'inizio entrambi combattevano contro l'ex presidente Hosni Mubarak, ma per motivi diversi. I figli della piccola borghesia del Cairo cercavano democrazia, diritti, meno corruzione, i poveri che popolano il resto del paese un buon lavoro.

Dopo la caduta di Mubarak i rivoluzionari non hanno saputo trasformarsi da blogger a politici e non hanno creato partiti che potessero vincere le elezioni e governare un paese enorme.

Dopo anni di instabilità, l'economia è peggiorata invece che migliorare e il paese profondo si è disilluso. Non è facile fare una rivoluzione in una nazione che ha due realtà diversissime, una metropolitana e borghese, rappresentata dal Cairo e Alessandria e una rurale, povera e analfabeta, in cui vivono la maggioranza delle persone.

La povertà e l'incapacità dei rivoluzionari di piazza Tahrir di creare nuovi movimenti politici, spiegano perché Morsi nel 2012 vinse le elezioni. Al primo turno, infatti prese prese solamente il 24,78, per cento con un'affluenza bassa mentre nel secondo turno prese il 51,73. Fu aiutato dai salafiti, partito religioso ancora più conservatore e dal fatto che contro di lui vi era Ahmed Shafiq, esponente del regime di Mubarak. L'assenza dalla scena politica di nuove realtà create dai rivoluzionari convinse molti laici a scegliere il candidato dei Fratelli Musulmani pur di non votare un rappresentante del vecchio regime. Ma all'apice della rivoluzione l'ex primo ministro di Mubarak, Shafiq, prese comunque il 48,27 per cento dei voti.

Riguardo alla democraticità del voto bisogna anche raccontare una realtà che viene spesso omessa, i Fratelli Musulmani, come molti islamisti, finanziano più poveri con soldi, un lavoro e molto welfare, in cambio ovviamente chiedono il voto. Questa rete clientelare non è molto diversa da quella che in Italia si chiama voto di scambio ed e' generalmente considerata un reato. Certo non è facile provarlo nelle urne perché nessuno falsifica le schede, ma si tratta di un procedimento più sofisticato che avviene a monte comprando il consenso.

Le elezioni parlamentari

Le prime elezioni parlamentari portarono a un risultato migliore per Fratelli Musulmani di quello delle presidenziali. Presero infatti il 47 per cento dei voti, con un affluenza del 50 per cento. Anche i Salafiti ebbero un ottimo risultato. La consultazione fu affetta però dalle stesse problematiche e fu comunque annullata da una controversa decisione della Corte Costituzionale Egiziana, che nel 2012 decise che i partiti politici avevano sottratto posti che, nella complessa legge elettorale per il parlamento, erano destinati a indipendenti.

Il nuovo presidente Morsi decise poi di proporre una costituzione piuttosto mediocre e islamista che fu sottoposta a un referendum dove andarono a votare solamente il 32 per cento degli egiziani. Vinse con il 67 per cento di sì, ma perse in tutte le zone ricche del paese, Cairo compreso. Dopo pochi mesi la costituzione fu messa a rischio dallo stesso Morsi, che tentò di far passare una legge per rendere insindacabili i suoi provvedimenti, con la scusa che la magistratura fosse ancora controllata da esponenti del vecchio regime.

Questa decisione, la disastrosa politica economica, la strisciante islamizzazione della società e anche il malcontento dei militari portarono a manifestazioni di massa. È in questo momento che comparve sulla scena il controverso movimento di Tamarod che raccolse milioni di firme per chiedere che Morsi fosse destituito. Pur essendo il numero esatto delle firme contestato e il movimento accusato da alcuni di essere stato aiutato dai militari, è innegabile che milioni di egiziani scesero in piazza per chiedere un netto cambiamento della situazione e la caduta del governo islamista.

Il golpe militare

Se gli storici si accapiglieranno per decenni sugli avvenimenti di quei giorni, è però possibile dire che nel Paese regnava un profondo malcontento. Ci vorranno anni per capire se, oltre alle proteste genuine di una parte maggioritaria del popolo, ci siano stati anche tentativi dei militari di orchestrare la rivolta. Sicuramente si può però pensare che le forze armate avrebbero avuto un gioco facile nel farlo vista l'ottusità dei Fratelli Musulmani che governavano come se fossero gli unici custodi della verità e che mal tolleravano la maggior parte della popolazione che non aveva votato per loro.

Inoltre, i Fratelli Musulmani avevano dimostrato di non sapere minimamente gestire l'economia che continuava a cadere a picco. In questo scenario il 3 luglio il generale Abdel Fatah Al Sisi, annunciò la rimozione del presidente Morsi e il suo arresto. A questo punto il fronte degli islamisti si divise in due, i Salafiti, concorrenti di Morsi sulla scena politica, decisero di appoggiare il nuovo corso, unendosi ai laici, ai moltissimi tradizionalisti delle campagne e ai cristiani. La risposta dei Fratelli Musulmani non si fece invece attendere, accusarono subito i 10 milioni di cristiani di aver orchestrato un vero e proprio colpo di Stato contro gli egiziani e cominciarono a bruciare le chiese.

Se tecnicamente la destituzione di Morsi fu un colpo di Stato, va però detto che milioni di egiziani nutrivano un odio profondo per i Fratelli Musulmani e che è solamente grazie alle manifestazioni di massa e all'ostilità della maggior parte della popolazione che i militari hanno potuto agire. La maggior parte degli egiziani arrivò perfino a giustificare in parte quello che è stato il vero buco nero di questa nuova ondata o scossa della primavera araba egiziana: lo sgombero delle piazze Rabaa e Nahda, dove i Fratelli Musulmani si erano accampati da un mese bloccando il traffico del Cairo. Cosa sia accaduto davvero anche in questo caso sarà contendere degli storici per decenni. Chi abbia iniziato a sparare o se si trattasse di uno scontro tra militari e manifestanti armati o pacifici, muta a seconda di chi racconta la storia. Il risultato però cambia poco, per terra sono rimasti più di 800 cadaveri. Si tratta sicuramente di una delle pagine più drammatiche della storia del paese e di una ferita che l'Egitto metterà anni a rimarginare.

La strage di Rabaa

Camminando in giro per il Cairo il venerdì dopo la strage, nelle ore in cui la città non era sotto il coprifuoco, si rimaneva stupefatti per come la maggioranza degli abitanti della città odiasse i Fratelli Musulmani e giustificasse i morti dicendo che l'Egitto era immerso in una potenziale guerra e che quello che era accaduto era l'unico modo per fermare gli islamisti. Pochissimi si lasciavano scappare che, pur non sopportando Morsi e i suoi alleati, era triste ammettere che l'inesperienza delle forze armate nella gestione dello sgombero delle piazze aveva sicuramente portato alla morte di moltissimi innocenti. Le stesse persone subito dopo però sostenevano che il governo avesse chiesto di liberare le due piazze per più di un mese, avvertendo più volte che se ciò non fosse accaduto sarebbero intervenuti. La tesi che circolava insistentemente era che i Fratelli Musulmani pagassero i manifestanti e cercassero martiri. Solo il tempo dirà come sono andate esattamente le cose, certamente però e' innegabile che i sostenitori di Morsi erano ormai una minoranza non amata. Laici, musulmani delle campagne, salafiti, rivoluzionari e militari avevano formato un'eterogenea maggioranza, unita solamente sulla convinzione di dover rimuovere il governo dell'ex presidente.

Non si trattava affatto di un fronte laico contro un fronte islamico come spesso si è raccontato, né di una guerra civile. Chi ha frequentato l'Egitto assiduamente in quel periodo poteva constatare che i Fratelli Musulmani non hanno mai avuto la forza di mobilitare grandi masse contro il nuovo corso e che la maggior parte del paese era o contro di loro o indifferente. Inoltre, i militari sono legati con un cordone ombelicale all'Arabia Saudita che ha permesso con i suoi petrodollari di non far fallire l'Egitto, mentre il Qatar, competitor arabo dei sauditi sosteneva Morsi. Il fatto stesso che i salafiti, gruppo quasi più conservatore dei Fratelli Musulmani, abbiamo appoggiato il cosiddetto fronte laico, smentisce chi descrive un paese lacerato tra partiti secolari e fondamentalisti. Tutto è più sfumato e complesso, nulla è bianco o nero.

La Costituzione, sulla carta

La nuova costituzione fatta dai saggi nominati dai militari, che vedeva uno spettro abbastanza ampio di personalità provenienti da più fronti, formalmente è molto migliore di quella fatta dai Fratelli Musulmani. Garantisce infatti, a parole la democrazia, i diritti delle donne e delle minoranze. Ci sono però molte ambiguità che permettono nella realtà di non implementare o annacquare i principi sostenuti. Per esempio riguardo alla libertà di manifestare la legge è simile a quella di molti paesi occidentali, bisogna avvertire il prefetto che si manifesterà, quest'ultimo per motivi di sicurezza può negare l'autorizzazione, ma è possibile fare ricorso. Gli ultimi mesi hanno però ampiamente dimostrato che nella pratica il principio costituzionale per ora non viene affatto rispettato. Problemi simili hanno i giornalisti che spesso vengono arrestati se criticano il governo o minoranze come i gay, che pur avendo appoggiato il nuovo corso e non essendoci nessuna legge che proibisce l'omosessualità in Egitto, ultimamente vengono arrestati da zelanti poliziotti con le scuse più fantasiose. Il tutto mentre un musicista come Hamed Sinno, cantante libanese dei Mashrou Leila, musulmano e gay dichiarato, riempie le piazze con migliaia di fan nei suoi concerti.

La magistratura continua poi la sua oscura politica di condanne a morte di massa di esponenti dei Fratelli Musulmani. Una strategia che per fortuna per ora non ha portato a nessuna esecuzione delle condanne perché le decisioni del sistema giudiziario sono poi sottoposte al giudizio, importante, anche se non vincolante, del gran mufti di al Azhar . Finora il religioso ha dato il suo assenso a qualche decina di condanne su migliaia che non sono state comunque eseguite. Si tratta di una politica che, al di là dei dubbi morali sulla pena di morte, rischia, se applicata, di essere disastrosa in quanto regalerebbe il tanto agognato martirio a molti fondamentalisti, e in molti casi comporterebbe la morte di innocenti o persone che, pur essendo islamiste, non avevano compiuto alcun reato e furono arrestate a caso nella folla. Più che i colpevoli in questo caso rischia di essere uccisa la giustizia. Molti egiziani giudicano le critiche europee però ipocrite, sostenendo che quando l'Egitto condanna a morte islamisti considerati vicini a movimenti fondamentalisti o terroristi viene considerato incivile. Mentre quando i Paesi occidentali combattono gli islamisti uccidendo anche loro connazionali europei o americani, partiti per la Jihad, con i droni, senza alcun processo e sapendo che in moltissimi casi ci sono state centinaia se non migliaia di morti civili non volute, si tratta di una guerra tra la civiltà e il male. Anche in questo caso la verità è probabilmente nel mezzo, nemica del bianco e nero.

Sicuramente Al Sisi non è eccessivamente attento ai diritti di chi considera nemici per la stabilità del paese e visto cosa accade in Libia, Iraq e Siria, ha gioco facile a far accettare la repressione a gran parte degli egiziani che in questo momento ricerca solo la stabilità e vede nei rivoluzionari borghesi del Cairo ragazzi che hanno finito per non creare un nuovo sistema politico che garantisse stabilità nel paese. Mentre guarda ai Fratelli Musulmani, come una forza politica legata all'islam osano internazionale che stava portando al tradimento dell'autentico spirito egiziano. Al Sisi ha infatti vinto le elezioni presidenziali con il 96, 9 %, anche se ha dovuto far votare un giorno in più per raggiungere l’agognato 47% d'affluenza. Questa mossa gli ha permesso di dire di aver almeno ottenuto il medesimo dato di partecipazione popolare del primo turno delle presidenziali del 2012.

Bisogna però dire che a queste ultime elezioni più della metà degli egiziani non è andata a votare. Molti osservatori pensano che questo potrà indebolire il nuovo presidente, altri che sia un segnale positivo, una gran parte dei votanti ha infatti voluto dirgli che non gli consegnano una carta bianca. Molte persone, pur avendo voltato le spalle ai Fratelli Musulmani, non vogliono di certo tornare ai tempi di Mubarak e i numerosi arresti tra i laici degli ultimi mesi sono stati sicuramente un grande errore che ha fatto perdere molti consensi ai militari tra i ragazzi della borghesia cairota.

Un’altra battaglia difficilissima che l’Egitto dovrà affrontare è quella economica, per ora il paese è tenuto in vita dai prestiti a fondo perduto dell’Arabia Saudita e altre monarchie del Golfo, il governo sta lavorando a piani economici che possano davvero convincere investitori a mettere i loro soldi nel paese.Gli interessi geopolitici americani, russi e sauditi non potranno infatti essere utilizzati dall’Egitto per sempre, l’abile gioco dei militari, che mettono in concorrenza gli interessi di Washington e di Mosca, non basterà a fare ripartire l’economia. Il nuovo governo dovrà per forza affidarsi a economisti esperti se vorrà far ripartire il motore del Paese. Al Sisi ha però negli ultimi mesi convinto il Qatar a cessare il suo sostegno ai Fratelli Musulmani che ora hanno come alleato regionale la sola Turchia di Tayyip Erdogan.

La situazione egiziana non è ancora chiara, il paese potrebbe diventare una dittatura, come alcuni sostengono sia gia' accaduto, o potrebbe trasformarsi in una fragile e opaca democrazia piena di ambiguità, facendo un paragone azzardato, non dissimile alcuni paesi occidentali del dopo guerra. Alla fine degli anni quaranta molte giovani democrazie furono lo scenario di sanguinosi regolamenti di conti, ambigue amnistie, processi sommari o proibizione di partiti politici. Per non parlare delle molte dittature sud americane. Solo il tempo dirà se i più di mille morti egiziani di questi anni saranno il preludio di una dittatura, o sono la sanguinosa conseguenza di un processo rivoluzionario durato anni che ha avuto fasi alterne, di cui alcune veramente drammatiche. Certamente il lavoro che sta facendo l'università di Al Azhar, uno dei massimi centri teologici del Medio Oriente, per chiarire che il fondamentalismo islamico e il terrorismo non hanno nulla a che fare con la religione è estremamente prezioso. Rimane però ancorato a linguaggi del passato, per esempio quando chiede di crocifiggere i terroristi dell'Isis. Infatti, pur chiaramente condannando le loro idee e azioni, novità non da poco per il Medio Oriente, finisce poi per ritenere lecite pratiche medioevali come la crocifissione per i terroristi. Quello che rende il futuro di molta parte della regione fosco è proprio la mancanza di una visione legata alla modernità. Il nuovo Egitto per esempio, pur proclamando nella sua costituzione di essere una democrazia e di rispettare i diritti umani, nella pratica sembra non capire lo spirito di queste parole. In Egitto oggi non solo non esiste un Gandhi o Mandela, ma nemmeno un Kennedy o un Reagan. La classe politica e la maggioranza della società fatica ancora a comprendere la filosofia che dovrebbe essere dietro a principi come la separazione dei poteri, la libertà di stampa o di sviluppo individuale, per non parlare della giustizia. Sicuramente anche nel mondo occidentale in questi campi non esiste la perfezione, cosa impossibile, ma solamente una tensione verso questi ideali. L'Egitto d'oggi è sicuramente un importante baluardo contro le barbarie del fondamentalismo, ma è ancora ben lontano dalle speranze che avevano i ragazzi di piazza Tahrir. La primavera araba però non ha fallito del tutto, se l'Egitto è oggi un baluardo di stabilità in una regione, in cui stati come l'Iraq, la Libia e la Siria si sono liquefatti, lo deve anche all'esistenza di una salda borghesia con un antico senso dell'Egitto come entità statuale indipendente.

Se la maggioranza del popolo cerca la stabilità più che la democrazia, e' anche vero che e' solo una questione di tempo per cui i semi democratici, già germogliati tra i giovani borghesi del Cairo, portino frutti per tutta la società.

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